Processi lumaca, CTCU fa il punto sulle novità alla Legge Pinto
Una ricerca sui sistemi giuridici di 100 paesi del mondo, condotta dalla World Justice Project (un’associazione nata per iniziativa degli avvocati americani) e rilanciata da Affaritaliani.it ha appena certificato che il sistema giudiziario civile italiano è uno dei meno efficaci e trasparenti del mondo occidentale. La durata media di una causa civile si aggira attorno ai 10 anni, al Sud ci sono 3,3 milioni di procedimenti in attesa di giudizio, e in un piccolo tribunale, come quello di Messina, ogni giudice deve smaltire un arretrato di 1.500 fascicoli. Nelle pieghe di una giustizia civile che di fatto non esiste, cresce la corruzione, i cui livelli, negli uffici giudiziari italiani, sono simili a quelli di paesi come l’Indonesia, l’Iran e la Jamaica.
Di recente il Consiglio d’Europa ha rivolto un ennesimo richiamo all’Italia affinché presenti un piano d’azione atto a risolvere il problema dell’eccessiva durata dei processi. Il Consiglio ha anche espresso ”preoccupazione” per alcune modifiche alla legge Pinto entrate in vigore lo scorso 26 giugno. Secondo il comitato, la decisione di non riconoscere un risarcimento se non alla fine del processo e di negarlo a coloro il cui processo sia durato fino a sei anni, potrebbe non essere in conformita’ con quanto stabilito dalla Corte di Strasburgo sull’efficacia dei rimedi interni preposti a risarcire chi abbia subito una violazione dei propri diritti.
E’ proprio sulle novità alla Legge Pinto introdotte dalla legge di conversione del Decreto Sviluppo che il CTCU ha dedicato un approfondimento facendo il punto sulle disposizioni che consentono di ottenere un risarcimento nei processi lumaca. Il CTCU inizia col definire cosa si intende “per ragionevole durata di un processo” spiegando che la durata del giudizio si intende ragionevole se: in primo grado, non eccede i 3 anni; in grado di appello, non eccede i 2 anni; in Cassazione, non eccede 1 anno. Nel caso di procedimento di esecuzione forzata, la durata del processo è ragionevole se non eccede i 3 anni. Nel caso di procedura concorsuale, invece la durata non deve eccedere i 6 anni. In ogni caso il termine ragionevole è rispettato se il giudizio è definito in modo irrevocabile entro 6 anni. Al di sotto di tale limite nessuna domanda di risarcimento verrà presa in considerazione.
La richiesta di risarcimento per la eccessiva durata del processo, equa riparazione, deve essere presentata a pena di decadenza solo entro 6 mesi dal passaggio in giudicato del provvedimento che conclude in via definitiva il procedimento, mentre non è più possibile agire in pendenza del procedimento. Pertanto anche se il processo durasse 20 anni, il cittadino interessato dovrà attendere la sua conclusione e non potrà più presentare domande risarcitorie prima della sua conclusione. Ai fini del computo non si tiene conto del tempo in cui il processo è sospeso e di quello intercorso tra il giorno in cui inizia a decorrere il termine per proporre l’impugnazione e la proposizione della stessa.
La richiesta risarcitoria si introduce con ricorso presentato ad un giudice monocratico presso la Corte di Appello (presidente della Corte d’Appello o magistrato designato) che provvede con decreto motivato entro il termine ridotto di 30 giorni. dal deposito (prima era 4 mesi ma il Giudice era collegiale). Se la domanda risarcitoria viene accolta, il giudice monocratico ingiunge il pagamento immediato dell’indennizzo liquidato, senza più la dilazione di 4 mesi per la fase esecutiva.
Se la domanda risarcitoria non viene accolta, essa non può essere ripresentata e si può solo procedere con l’opposizione al diniego, entro il termine tassativo di 30 giorni dalla comunicazione o notificazione del decreto. Competente a decidere in merito all’opposizione è la Corte d’appello alla quale appartiene il giudice che ha emesso il decreto. La Corte si pronuncia con decreto impugnabile per Cassazione entro 4 mesi dal deposito del ricorso al diniego.
La misura dell’indennizzo è stata determinata dalla legge: l’importo risarcitorio sarà da valutarsi nella fascia tra 500 e 1.500 euro per ogni anno, o frazione di anno superiore a sei mesi, che superi il termine ragionevole di durata del processo. Per completezza si precisa che il risarcimento non può mai superare il valore della causa o a quanto effettivamente accertato dal Giudice come valore del diritto oggetto del processo medesimo.
Altra novità che è stata introdotta è la tipizzazione dei casi in cui non è possibile chiedere e ottenere alcun indennizzo, ossia:
– in favore della parte soccombente condannata a norma dell’art. 96 c.p.c. per lite temeraria,
– nel caso in cui la domanda del ricorrente sia stata accolta in misura non superiore alla proposta conciliativa,
– nel caso in cui il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta conciliativa,
– nel caso di estinzione del reato per intervenuta prescrizione connessa a condotte dilatorie della parte; o quando l’imputato non abbia depositato istanza di accelerazione del processo penale nei 30 giorni successivi al superamento dei limiti di durata considerati ragionevoli dall’art 2 bis della legge in discorso;
– e, in via residuale, ogniqualvolta sia constatabile un abuso dei poteri processuali che abbia procrastinato ingiustificatamente i tempi del procedimento.