L’Italia deve ragionare a un piano di rientro dei crediti delle imprese verso la Pubblica Amministrazione in tempi certi e rapidi. Lo ha fatto persino la Spagna che sta compensando i crediti vantati verso qualsiasi amministrazione pubblica con le tasse dovute. “In via eccezionale, si potrebbe ipotizzare pro-tempore una contabilità di bilancio separata per questi arretrati, esclusi “una tantum” dal calcolo dei parametri di stabilità. O, ancora, una cartolarizzazione di questi crediti nella quale le banche, inclusa la Cassa Depositi e Prestiti, anticipano subito i pagamenti verso le imprese facendosi poi rimborsare in tempi successivi dallo Stato”.
L’invito arriva dal Vicepresidente della Commissione Europea Antonio Tajani, responsabile per l’industria e l’imprenditoria, che è intervenuto oggi a Milano nell’ambito della campagna europea sulla direttiva per i ritardi di pagamento. Tajani ha ribadito l’importanza della  direttiva comunitaria per i ritardi di pagamento, approvata a febbraio del 2011, per uscire dalla crisi. Il motivo dell’urgenza è sotto gli occhi di tutti: non solo pagamenti sicuri aumentano il clima di fiducia in generale, ma ormai sono tante le aziende sane che falliscono perché i loro crediti non sono stati pagati in tempo.
Per questo, nonostante il termine ultimo per recepire la direttiva sia il 16 marzo 2013, la Commissione ha chiesto agli Stati membri di anticipare l’attuazione. L’Italia lo ha fatto, ma con alcune ambiguità nel testo del decreto che sono da chiarire subito, (come ha scritto già Tajani in una lettera al Ministro Corrado Passera). Ad esempio, nel decreto italiano la possibilità di deroga a 60 giorni appare come generalizzata; questo presenta rilievi di incompatibilità con il dettato della direttiva e va quindi al più presto chiarita per evitare una procedura d’infrazione.
“Stiamo lavorando insieme alle autorità italiane per definire ogni aspetto problematico” ha detto Tajani ricordando che la direttiva sui ritardi dei pagamento prevede l’obbligo per gli enti pubblici di pagare entro 30 giorni, salvo eccezioni giustificate ed esclusivamente limitate al settore della sanità, alle imprese pubbliche o nei casi in cui ciò sia giustificato dalla natura del contratto o da talune sue caratteristiche. In questi casi eccezionali, da interpretare quindi in modo restrittivo, lo Stato può decidere di pagare massimo a 60 giorni.
In un contesto in cui un’impresa su 3 non riesce ad ottenere dalle banche il credito richiesto (malgrado le iniezioni di oltre 1000 miliardi di liquidità della BCE) e in Italia si pagano tassi di interesse più alti della media europea (se una PMI tedesca o francese paga il denaro rispettivamente 2.9% e 2.2% quella italiana almeno il 4.5%), alcuni Stati continuano a ritardare i pagamenti, accumulando debiti scaduti per 180 miliardi nei confronti della imprese. “Il 56% delle imprese europee sostiene che i propri problemi di liquidità sono principalmente dovuti al ritardo con il quale le loro fatture vengono pagate. Esiste poi un divario fra nord e sud che nuoce all’integrazione del mercato unico – ha aggiunto Antonio Tajani – nei paesi del sud i pagamenti fra imprese richiedono in media 91 giorni, contro una media di 31 giorni nel nord dell’Europa. Ma il dato più drammatico è quello di 1/3 dei fallimenti causato dai ritardi di pagamento. I ritardi della Pubblica Amministrazione sono inaccettabili: se è legittimo riscuotere tempestivamente i tributi, altrettanto doveroso, anche moralmente, è pagare i debiti alla scadenza, evitando la chiusura di aziende sane”.


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