In Italia il calo del Pil è stato più forte rispetto alla media europea e la ripresa è più lenta. Nel 2018 il Prodotto interno lordo italiano sarà ancora cinque punti sotto il valore del 2007. Nel contesto europeo, l’Italia “ha perso di più e recupera meno” e dal 2007 al 2016 si segnala un crollo del 7% del Pil. È quanto evidenzia oggi la Fondazione Di Vittorio-Cgil nel rapporto “Lavoro e capitale negli anni della crisi”.

In Italia la crisi è stata più lunga a causa delle misure di austerità che hanno penalizzato la domanda  interna e ha determinato un generale arretramento della nostra economia, il cui peso all’interno  dell’eurozona tende a ridursi progressivamente”, scrive la Fondazione. “Nel panorama europeo il PIL italiano è diminuito di più a seguito dei due shock recessivi del 2009 e del 2012 e risulta nel 2016 ancora sotto (-7%) il livello registrato prima della crisi mentre in Spagna – che pure ha sofferto una contrazione equivalente – il prodotto del 2016 è di nuovo prossimo al valore del 2007”. Francia e Germania sono tornate invece a crescere già dopo la caduta del 2009 e presentano nel 2016 un valore del Pil che supera, rispettivamente, del 5.2% e del 9.4% il valore del 2007.

L’Italia, invece, stenta ancora a ripartire e la crescita del prodotto, benché le stime siano state di recente riviste verso l’alto, è ancora debole: secondo la Fondazione, “le proiezioni elaborate a maggio configurano un saggio di crescita nettamente più alto per l’area Euro e collocano il Pil italiano nel 2018 ancora cinque punti sotto il valore del 2007”.

 “Nel nostro Paese – afferma il presidente della Fondazione Di Vittorio, Fulvio Fammoni – il calo del Pil è stato più forte e la ripresa più lenta della media europea, oltre che a causa delle misure di austerità e della crescita delle diseguaglianze, anche per effetto della mancanza di investimenti, come dimostrano i punti di ritardo dell’Italia, in termini di variazione del capitale fisso, dalla zona Euro (-17,6 punti percentuali tra il 2007 e il 2016) e dalla Germania in particolare (-35,2 punti). Per l’incapacità da parte dei governi italiani – prosegue Fammoni – di porre in essere una politica economica finalmente espansiva e per la resistenza da parte di settori delle imprese a puntare su ricerca, innovazione, miglioramenti nella conoscenza e nell’efficienza dei processi produttivi, invece che sul contenimento del costo del lavoro”.


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