Violenza ostetrica, Doxa: un milione di donne maltrattate durante il parto
Il parto che diventa un trauma. La donna esposta a maltrattamenti fisici o verbali contro i quali non riesce a difendersi: un cesareo non necessario, una episiotomia che non serviva, un parto in cui ci si ritrova esposte nude davanti a più persone, o nel quale il bambino viene allontanato senza ragione medica. Ancora, un parto in cui è costrette a subire umiliazioni verbali. Il 21% di madri in Italia dichiara di aver subito una violenza ostetrica durante il parto. Sono circa un milione di donne in 14 anni.
Il dato, drammatico, emerge dalla prima ricerca nazionale “Le donne e il parto”, fatta dalla Doxa per conto dell’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica in Italia e finanziata dalle associazioni La Goccia Magica e CiaoLapo Onlus. La violenza ostetrica viene definita come “l’appropriazione dei processi riproduttivi della donna da parte del personale medico”. Durante un momento così centrale quale il parto, 4 mamme su 10 dichiarano di aver subito azioni lesive della dignità personale. Fra queste rientra l’episiotomia subita a “tradimento”, senza aver dato il consenso informato, segnalata da 1,6 milioni di partorienti.
La ricerca, che rappresenta l’evoluzione della campagna d’informazione #BastaTacere: le madri hanno voce, è stata fatta su un campione rappresentativo di circa 5 milioni di donne italiane, di età compresa tra i 18 e i 54 anni, con almeno un figlio di 0-14 anni. I risultati sono drammatici: “Si stimano in circa 1 milione le madri in Italia – il 21% del totale – che affermano di essere state vittime di una qualche forma (fisica o psicologica) di violenza ostetrica alla loro prima esperienza di maternità – dicono i ricercatori – Un’esperienza così traumatica che avrebbe spinto il 6% delle donne, negli ultimi 14 anni, a scegliere di non affrontare una seconda gravidanza, provocando di fatto la mancata nascita di circa 20.000 bambini ogni anno nel nostro Paese”.
La violenza ostetrica denunciata rimanda a pratiche quali “costringere la donna a subire un cesareo non necessario, costringere la donna a subire una episiotomia non necessaria, costringere la donna a partorire sdraiata con le gambe sulle staffe, esporre la donna nuda di fronte ad una molteplicità di soggetti, separare la madre dal bambino senza una ragione medica, non coinvolgere la donna nei processi decisionali che riguardano il proprio corpo e il proprio parto, umiliare verbalmente la donna prima, durante e dopo il parto”. Alle donne è stato chieste se ritenessero di aver subito una violenza di questo tipo: il 56% risponde “assolutamente no” e il 23% “credo di no”, ma è emerso un 21% del totale che ritiene di aver subito una qualche forma di violenza ostetrica fisica o verbale alla loro prima esperienza di maternità. Di questo 21% il 17% delle donne risponde alla domanda con “in parte sì”, ma il 4% fornisce una risposta più netta “sicuramente sì”.
Per quattro donne su dieci (il 41%) l’assistenza al parto è stata in qualche modo lesiva della propria dignità e integrità psicofisica. La principale esperienza negativa segnalata è l’episiotomia, subita dal 54% delle mamme intervistate. “Un tempo considerata un aiuto alla donna per agevolare l’espulsione del bambino, oggi, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la definisce una pratica «dannosa, tranne in rari casi» – spiega la ricerca – L’episiotomia è, a tutti gli effetti, un intervento chirurgico che consiste nel taglio della vagina e del perineo per allargare il canale del parto nella fase espulsiva. Rispetto alle lacerazioni naturali che spesso si verificano durante il parto, tale operazione necessita di tempi più lunghi per il recupero con rischi anche di infezioni ed emorragie”. L’episiotomia viene spesso fatta senza consenso informato: 3 partorienti su 10 negli ultimi 14 anni, vale a dire 1,6 milioni di donne (il 61% di quelle che hanno subito un’episiotomia) dichiarano di non aver dato il consenso informato per autorizzare l’intervento. Per il 15% delle donne che hanno vissuto questa pratica, pari a circa 400.000 madri, si è trattato di una menomazione degli organi genitali, mentre il 13% delle mamme, pari a circa 350.000, con l’episiotomia ha visto tradita la loro fiducia nel personale ospedaliero: se all’inizio la ritenevano una procedura necessaria e innocua solo in seguito hanno preso conoscenza delle conseguenze negative. A registrare il numero più alto di episiotomie sono le regioni del Sud Italia e le isole con il 58%, seguite dal centro e Nord-Est Italia (55% pari merito), ultimo il Nord Ovest con 49%.
Le cure? Il 27% delle donne intervistate dice di essersi sentite solo in parte seguite dall’equipe medica e segnala che avrebbe voluto essere più partecipe di quanto avveniva durante il parto. Il 6% di neomamme afferma di aver vissuto l’intero parto in solitudine e senza la dovuta assistenza. Insomma, 1 donna su 3 si è sentita in qualche modo tagliata fuori dalle decisioni e scelte fondamentali che hanno riguardato il suo parto. C’è inoltre un 4% di casi in cui la trascuratezza ha messo in pericolo la vita del neonato e della madre.
Il primo parto diventa così un trauma che allontana l’idea di una seconda gravidanza. La ricerca evidenzia che “l’11% delle madri in Italia ammette di aver subito un trauma dovuto all’assistenza nell’ospedale e di conseguenza ha preferito rimandare di molti anni la scelta di vivere un’ulteriore gravidanza, con conseguenze significative sulla fertilità al livello nazionale. Per il 6% del totale il trauma è stato così forte da decidere di non avere più altri figli, stimando a 20.000 all’anno i bambini non nati”.
Come reagiscono le sigle mediche davanti a questo quadro allarmante? Sono dati che “suggeriscono una riflessione” ma che “non devono dar luogo ad allarmismi controproducenti”, dicono insieme SIGO (Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia) AOGOI (Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani) e AGUI (Associazione Ginecologi Universitari Italiani). “Questi dati – ha detto il professor Giovanni Scambia, Presidente SIGO – impongono anzitutto una verifica e una riflessione sulla gestione del nostro rapporto e dialogo con le pazienti, perché è in sé spiacevole che alcune italiane riferiscano del proprio parto come di un’esperienza senz’altro negativa. In secondo luogo l’indagine Doxa, che pure manifesta qualche limite in termini di rigore, perché ad esempio nessun consenso informato è necessario per praticare una episiotomia, rafforza il convincimento di noi ginecologi riguardo ad alcuni obiettivi che perseguiamo da anni: una migliore rotazione del personale, sia medico sia ostetrico, nelle sale parto; la chiusura dei punti nascita che gestiscono meno di mille parti l’anno, perché evidentemente privi dell’esperienza e della casistica necessarie; e infine l’inserimento nei LEA del parto indolore, che non può restare un privilegio riservato a poche italiane”.
Notizia pubblicata il 21/09/2017 ore 17.14