“Non è indispensabile la certezza scientifica per provare che una malattia è stata causata da un vaccino”. Se non esiste consenso scientifico sul tema, il legame di causalità fra una malattia e il difetto di un vaccino può essere “provato” se esistono una serie di indizi “gravi, precisi e concordanti”, tali che l’esistenza di un difetto del vaccino sia “la spiegazione più plausibile dell’insorgenza del danno”. È quanto ha detto oggi la Corte di Giustizia dell’Unione europea, chiamata a pronunciarsi su un caso che riguarda la richiesta di un risarcimento danni nei confronti del produttore di un vaccino.

Per la Corte, la vicinanza temporale fra la somministrazione di un vaccino e l’insorgenza di una malattia, insieme all’assenza di precedenti medici personali e familiari del vaccino e un numero significativo di casi repertoriati di comparsa della malattia possono rappresentare “indizi sufficienti”  a formare una “prova”.

Il caso sul quale la Corte si è pronunciata riguarda la vicenda di un cittadino cui, fra fine 1998 e metà del 1999, è stato somministrato un vaccino contro l’epatite B prodotto dalla Sanofi Pasteur. Nell’agosto 1999, il sig. W ha iniziato a manifestare vari disturbi, che hanno condotto, nel novembre 2000, alla diagnosi di sclerosi multipla. Il sig. W è deceduto nel 2011. Fin dal 2006 lui e la sua famiglia hanno promosso un’azione giudiziaria contro la Sanofi Pasteur per ottenere il risarcimento del danno che il sig. W affermava di aver subìto a causa del vaccino. La questione, inizialmente respinta per l’assenza di consenso scientifico sul nesso di causalità fra vaccinazione anti epatite B e malattia, è arrivata davanti alla Corte di Giustizia Ue cui è stato chiesto se il giudice possa basarsi su indizi gravi, precisi e concordanti per ravvisare il difetto del vaccino e il nesso di causalità tra il vaccino e la malattia. “Nel caso di specie – spiega la Corte – viene fatto riferimento, in particolare, alle eccellenti condizioni di salute pregresse del sig. W, alla mancanza di precedenti familiari e al collegamento temporale tra la vaccinazione e la comparsa della malattia”.

La sentenza è arrivata oggi. La Corte “considera compatibile con la direttiva un regime probatorio che autorizza il giudice, in mancanza di prove certe e inconfutabili, a concludere che sussistono un difetto del vaccino e un nesso di causalità tra quest’ultimo e una malattia sulla base di un complesso di indizi gravi, precisi e concordanti, qualora tale complesso di indizi gli consenta di ritenere, con un grado sufficientemente elevato di probabilità, che una simile conclusione corrisponda alla realtà”. Per la Corte Ue “un regime probatorio del genere non è tale da comportare un’inversione dell’onere della prova gravante sul danneggiato, poiché spetta a quest’ultimo dimostrare i vari indizi la cui compresenza permetterà al giudice adito di convincersi della sussistenza del difetto del vaccino e del nesso di causalità tra il medesimo e il danno subìto”.

La Corte argomenta che escludere qualunque prova diversa da quella certa tratta dalla ricerca medica renderebbe troppo difficile o impossibile far valere la responsabilità del produttore. Precisa però che “i giudici nazionali devono assicurarsi che gli indizi prodotti siano effettivamente sufficientemente gravi, precisi e concordanti da consentire di concludere che l’esistenza di un difetto del prodotto appare, tenuto altresì conto degli elementi e degli argomenti presentati a propria difesa dal produttore, la spiegazione più plausibile dell’insorgenza del danno. Il giudice nazionale deve inoltre preservare il proprio libero apprezzamento quanto al fatto che una simile prova sia stata o meno fornita in modo giuridicamente sufficiente, fino al momento in cui si ritenga in grado di formare il proprio convincimento definitivo”.

Sul caso in questione la Corte rileva che la vicinanza temporale fra vaccinazione e insorgenza della malattia, “la mancanza di precedenti medici personali e familiari correlati a detta malattia nonché l’esistenza di un numero significativo di casi repertoriati di comparsa di tale malattia a seguito di simili somministrazioni sembrano, a prima vista, costituire indizi la cui compresenza potrebbe indurre un giudice nazionale a concludere che il danneggiato ha assolto l’onere della prova su di lui gravante. Così potrebbe essere, in particolare, nel caso in cui detti indizi conducano il giudice a ritenere, da un lato, che la somministrazione del vaccino costituisca la spiegazione più plausibile dell’insorgenza della malattia e, dall’altro, che tale vaccino non offra quindi la sicurezza che ci si può legittimamente attendere”.


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