A che punto siamo nei test genetici e nella gestione dei tumori eredo-familiari? È la domanda cui ha cercato di rispondere Cittadinanzattiva, che insieme ad associazioni di pazienti e società scientifiche ha svolto un’indagine pilota sui centri che erogano il test BRCA. Il test contribuisce a identificare probabili situazioni di rischio in persone con storia familiare di tumore o a individuare terapie mirate se c’è già una diagnosi. Si tratta dell’analisi di un campione biologico che permette di esaminare i geni BRCA1 e BRCA2, associati alla trasmissione di una predisposizione ereditaria dei tumori della mammella e dell’ovaio. Nel caso sia presente l’alterazione di uno o di entrambe i geni, non si “eredita” il tumore, ma il rischio di svilupparlo.

“Per la prevenzione del tumore della mammella, occorrerebbe avviare, nell’ambito del programma di screening mammografico, una valutazione del profilo di rischio genetico al fine di identificare, attraverso un percorso dedicato, le donne potenzialmente portatrici di variante dei geni BRCA. Rispetto alle cure possibili invece, il test BRCA dovrebbe essere effettuato su tutte le pazienti, secondo le Raccomandazioni delle Società Scientifiche, al momento della diagnosi di tumore all’ovaio, poiché ad oggi, si dispone di terapie mirate”. Queste le indicazioni che emergono dall’indagine Test genetici: tra prevenzione e diritto alle cure. Focus Test BRCA, promossa da Cittadinanzattiva. Allo stesso tempo, aggiunge l’associazione, bisogna fare in modo che il test BRCA sia esteso ai familiari delle persone risultate positive (uomini compresi) e che sia garantito l’accesso gratuito alle visite e agli esami consigliati a tutti i soggetti sani che presentano una variante BRCA.

L’indagine ha interessato i professionisti sanitari di tre regioni: Campania, Piemonte e Sicilia, per conoscere la loro esperienza su come viene erogato il test BRCA. I risultati saranno presentati in tre eventi regionali che si svolgeranno fra giugno e settembre – il 14 giugno a Napoli, l’1 luglio a Palermo e il 25 settembre a Torino. Commenta Antonio Gaudioso, Segretario Generale di Cittadinanzattiva: “Le persone ad alto rischio ereditario non possono essere lasciate sole ed essere costrette ad investire di tasca propria sul percorso di prevenzione”.

“E’ necessario- prosegue Gaudioso – che ogni Regione individui centri di riferimento per l’esecuzione e l’interpretazione del test BRCA ma soprattutto, dopo aver eseguito i test, è indispensabile prevedere una specifica presa in carico dei pazienti risultati positivi. E’ arrivato inoltre il momento di riconoscere formalmente le linee guida delle società scientifiche ed esplicitare i criteri di accesso al test BRCA e le tempistiche in modo da assicurare equità e uniformità di opportunità ai cittadini in tutte le Regioni. Non da ultimo, occorre rimodulare i Percorsi Diagnostici terapeutici ed assistenziali (PDTA) per le persone ad alto rischio genetico, affinché prevedano al loro interno una vera strategia di presa in carico allargata non solo al singolo ma all’intera famiglia”.

L’indagine dice che i soggetti più spesso sottoposti al test BRCA hanno 36-49 anni (67%). Ogni centro esegue mediamente 51,1 test a scopo diagnostico e 21,4 per l’indirizzo terapeutico. Ai familiari di persone risultate positive al test diagnostico viene proposto il test BRCA nell’83% delle situazioni; il test è esteso anche ai familiari “molto di frequente” in un caso su due. A richiederlo è l’oncologo (71%), seguito dal genetista medico (46%) e dal ginecologo con competenze oncologiche (29%). La consulenza genetica oncologica è offerta dal 54% dei centri; e di questi il 92% garantisce la presa in carico completa della persona fin dalla fase pre-test. C’è molto da lavorare sulle informazioni fornite alla persona che risultano positive al test BRCA: ad esempio, i colloqui alle persone sono previsti in 7 casi su 10 ma l’offerta non è “sistematica” perché non obbligatoria e nel 62% può dipendere dalla richiesta spontanea del soggetto.

Sul versante dei tempi di attesa per il cittadino, dall’indagine emerge che circa il 13% delle persone, al quale è stato diagnosticato il tumore (mammella o ovaio), accede al test BRCA entro le 24 ore successive alla richiesta e, nel 38%, il referto arriva oltre due mesi dopo. Tra i soggetti “sani”, il 33% accede al test entro 7 giorni ma nel 46% la refertazione avviene più di due mesi dopo. A questi tempi vanno aggiunti quelli per la consegna del risultato: nel 21% dei casi, se il test è positivo, si attende almeno un mese; solo il 42% riceve il risultato entro qualche giorno.


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