La strada verso il cambiamento “green” dei sistemi economici sembra essere molto più in salita del previsto. Nel 2017 le emissioni di carbonio provocati dalla combustione dei fossili per fini elettrici è in aumento del1,5%La priorità ambientale internazionale del clima non sta seguendo una traiettoria positiva e la prospettiva non sembra essere migliore per il 2018. Ai ritmi attuali, gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi rischiano di essere fortemente compressi. Eppure le cause dei cambiamenti climatici sono evidenti: la biodiversità si riduce, aumentano gli eventi estremi e i migranti climatici nel solo 2016 hanno rappresentato ben il 76% dei 31 milioni di sfollati.

Nella giornata conclusiva degli Stati Generali della Green economy, organizzati dal Consiglio Nazionale della Green Economy con la collaborazione del Ministero dell’Ambiente e il supporto tecnico della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, è stato esaminato il ruolo delle imprese nella transizione alla green economy.

Questo aumento delle emissioni di carbonio dopo tre anni di stabilità o diminuzione”, ha affermato Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, “lancia un segnale preoccupante, soprattutto rende sempre più stretta la finestra per tener fede all’ accordo di Parigi che ha disegnato la traccia dell’impegno necessario per tutto il ventunesimo secolo”.

Accanto all’aumento delle emissioni di carbonio si registra anche un dato positivo: nonostante le difficoltà le energie rinnovabili sono globalmente in aumento.

“È evidente oggigiorno che il rapporto tra imprese e ambiente stia cambiando”, ha sottolineato Davide Crippa, Sottosegretario, Ministero dello sviluppo economico. “Nei loro modelli di business, le imprese stanno sempre più inserendo la tematica ambientale, non a caso in Italia le aziende green rappresentano il 27% del totale, percentuale che sale al 33,8% nell’ambito dell’industria manifatturiera”.

Due i panel di discussione della giornata, l’uno legato ai vantaggi economico-finanziari derivanti dalla transizione verso la green economy, l’altro sui vantaggi occupazionali della stessa.

Le prime grandi opportunità nel finanziamento internazionale alla green economy si sono create proprio nel campo delle energie rinnovabili: i nuovi flussi di investimento, sia nazionali che internazionali, sono più che quadruplicati dal 2005. Nel 2015, la maggior parte dei fondi sono stati investiti in progetti legati all’eolico (38%) e al solare (56%). Globalmente, gli investimenti su base annua nella generazione di energia da fonti rinnovabili hanno superato gli investimenti nei combustibili fossili, principalmente grazie al rapido calo dei costi delle tecnologie.

Sul piano occupazionale, la green economy è un generatore netto di posti di lavoro decorosi (decent), salari adeguati, condizioni di lavoro sicure, sicurezza del posto di lavoro, ragionevoli prospettive di carriera e diritti per i lavoratori.

Secondo uno studio americano, le energie rinnovabili e i settori a basse emissioni di carbonio generano più posti di lavoro per unità di energia prodotta rispetto al settore dei combustibili fossili ma quello che colpisce di più dell’analisi è la grande variazione nell’efficienza della creazione di posti di lavoro a parità di investimenti.

Nel 2017, il solare fotovoltaico ha segnato un anno record con l’occupazione aumentata dell’8,7% e concentrata in un piccolo numero di Paesi. L’industria eolica impiega 1,1 milioni di persone a livello globale, nei biocarburanti l’occupazione è stimata in 1,93 milioni con un aumento del 12%.

È chiaro che questi cambiamenti globali implichino differenze settoriali e regionali a maggior ragione nel momento in cui la realizzazione di nuovi posti di lavoro in un settore come quello delle rinnovabili comporterà una perdita di occupazione nei fossili. Si stima infatti che la creazione netta di 18 milioni di posti di lavoro prevista al 2030 è il risultato di circa 24 milioni creati e di circa 6 milioni persi.


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