Social network, Amnesty International: privacy ancora troppo a rischio
Privacy e social network: un binomio che di questi tempi è sempre più sotto la luce dei riflettori. Whatsapp, Facebook, Snapchat, Skype e chi più ne ha più ne metta sono al centro della vita di molti di noi. Ma pensare che quello che scriviamo o i contenuti multimediali che spediamo ci appartengano e che nessuno li possa sbirciare è una convinzione del tutto sbagliata e, sotto certi aspetti, anche piuttosto pericolosa. Amnesty International le ha classificate dai meno sicuri a quelli sui quali si può stare “più tranquilli” .“Le nostre comunicazioni sono sotto la costante minaccia della cyber-criminalità e dello spionaggio di stato. Sono soprattutto i giovani, i più inclini a condividere fotografie e informazioni personali su app come Snapchat, uno dei social più a rischio”, ha dichiarato Sherif Elsayed-Ali, direttore del programma Tecnologia e diritti umani di Amnesty International. La “Classifica della privacy dei messaggi” realizzata dall’organizzazione per i diritti umani valuta in che modo le 11 aziende produttrici delle più popolari applicazioni di messaggistica usano la crittografia per proteggere la privacy degli utenti e la libertà d’espressione.
Secondo Amnesty International, la crittografia end-to-end, grazie alla quale i dati condivisi possono essere visti solo da chi li invia e da chi li riceve, è il requisito minimo che le aziende dovrebbero prevedere per garantire che le informazioni private inviate attraverso le app di messaggistica istantanea rimangano tali. Le aziende in fondo alla classifica mancano di un livello adeguato di crittografia.
L’azienda cinese Tencent si colloca all’ultimo posto della classifica con zero punti su 100, risultando quella che fa di meno per proteggere la privacy nella messaggistica e anche quella meno trasparente. È seguita da Blackberry e Snapchat, rispettivamente con 20 e 26 punti. Nonostante il suo dichiarato forte impegno in favore dei diritti umani, Microsoft si ferma a 40 punti a causa di un debole sistema di crittografia. Nessuna di queste quattro aziende mette a disposizione un servizio di crittografia end-to-end per le comunicazioni degli utenti.
Nessun’azienda garantisce una privacy impenetrabile ma Facebook, le cui applicazioni Messenger e WhatsApp raggiungono insieme due miliardi di utenti, ottiene il punteggio più alto, 73 su 100. Delle 11 aziende valutate, è quella che usa maggiormente la crittografia per rispondere alle minacce ai diritti umani ed è la più trasparente riguardo alle azioni intraprese. Tuttavia, nonostante preveda l’opzione della crittografia end-to-end nella modalità “conversazione segreta”, l’applicazione Messenger di Facebook utilizza una forma più blanda di crittografia, col risultato che Facebook ha accesso a tutti i dati. WhatsApp prevede la crittografia end-to-end di default e spicca per la chiarezza delle informazioni sulla privacy fornite ai suoi utenti.
Apple si colloca a 67 punti su 100. Utilizza la crittografia end-to-end in tutte le comunicazioni delle sue app iMessage e Facetime ma dovrebbe fare di più per informare gli utenti che i loro messaggi via sms sono meno sicuri di quelli inviati tramite iMessage e dovrebbe adottare un protocollo di crittografia più aperto per consentire complete verifiche indipendenti.
“Il futuro della privacy e della libertà d’espressione online dipende in larga misura dalle aziende, se forniranno servizi in grado di proteggere le nostre comunicazioni o se invece le serviranno su un piatto a occhi indiscreti”, ha commentato Elsayed-Ali. Amnesty International pertanto sta chiedendo a tutte le aziende di prevedere la crittografia end-to-end di default su tutte le loro applicazioni di messaggistica. In questo modo, potrebbero proteggere i diritti delle persone comuni così come degli attivisti pacifici e delle minoranze perseguitate in ogni parte del mondo, consentendo loro di esercitare la libertà d’espressione. L’organizzazione per i diritti umani chiede inoltre alle aziende di rendere pubblici tutti i dettagli relativi alle politiche e alle prassi che hanno adottato per adempiere alla loro responsabilità di rispettare il diritto alla privacy e alla libertà d’espressione.