Gelli (Affari Sociali Camera): perchè le aziende sanitarie si devono assicurare
Mondo sanitario e assicurativo a confronto. La ragione? Il nuovo impianto normativo introdotto nel sistema sanitario, pubblico e privato, dalla legge Gelli-Bianco n. 24/2017. Obiettivi della norma: garantire il principio della sicurezza delle cure e ridurre il contenzioso civile e penale riguardante la responsabilità medica, offrendo un efficace sistema risarcitorio per i danni sanitari subiti dai pazienti. Le aziende sanitarie, pubbliche o private, devono quindi dotarsi di strumenti di finanziamento del rischio (coperture assicurative o misure analoghe) per garantire un rapido risarcimento ai pazienti. A loro volta, gli operatori delle professioni sanitarie dovranno assicurarsi a garanzia della responsabilità professionale in funzione del rapporto instaurato con la struttura e con i pazienti. La responsabilità degli esercenti professione sanitaria risulta mitigata sia in ambito penale, sia in sede civile, qualora il professionista rispetti le raccomandazioni stabilite dalle Linee Guida, o in assenza, le buona pratiche clinico-assistenziali di prossima definizione. Se ne è parlato a Milano durante l’assemblea annuale di Aiba (Associazione italiana brokers di assicurazioni e riassicurazioni), dove a esporre i punti salienti della legge è stato in collegamento video Federico Gelli, componente della Commissione Affari sociali della Camera dei Deputati.
Quali sono le aspettative nell’applicazione della legge Gelli-Bianco e come il rapporto tra mondo assicurativo e sanitario può cambiare?
“Il tema della legge più importante riguarda l’azione preventiva, che nel testo della legge è previsto attraverso una serie di misure e di interventi. Noi dobbiamo riportare in una condizione nuova, rivisitata, quello che è l’elemento più importante della salute in qualunque Paese moderno e cioè: recuperare l’alleanza terapeutica tra paziente e operatore della sanità; tra paziente e medico. Questo purtroppo negli ultimi 15-20 anni è andato lentamente disgregandosi e allontanandosi. Sempre di più, questa alleanza è stata sostituita dalle carte bollate. Complici di questa situazione sono innumerevoli fattori: una maggiore capacità di informazione o peggio ancora di disinformazione del cittadino attraverso i social, attraverso internet. Io faccio spesso riferimento al “dottor Google”, che è il medico più famoso del mondo in quanto tutti prima di qualunque visita, di qualunque ricovero si riferiscono al dottor Google per sapere la diagnosi, la terapia, la riabilitazione e quando arrivano dal medico sanno già tutto e quindi il medico o concede loro quanto previsto dal “dottor Google” o altrimenti scattano meccanismi particolarmente rivendicativi. A questo si aggiunge il fatto che si è andato sempre più sviluppando nel Paese – anche frutto di questa disinformazione – il principio, anzi il diritto, alla guarigione che è un diritto inesigibile perché la scienza ha fatto dei miracoli, ma sicuramente non ha la possibilità di poter garantire il diritto alla guarigione. La giurisprudenza ovviamente ha fatto il resto. Le sentenze della Cassazione che si sono susseguite negli ultimi anni hanno creato ancora di più la distanza tra il professionista e il paziente: il famoso contratto sociale, il rapporto di natura contrattuale. Gli studi legali, fortunatamente non tanti, ma una buona parte, hanno alimentato questo che è stato considerato un nuovo modello di business e di opportunità anche lavorativa e professionale, dove il confine del codice deontologico è stato spesso superato fornendo consulenze legali gratuite agli avventori dei nostri ospedali, delle nostre strutture sanitarie. Questa complicazione che si è venuta a determinare nella sua specificità ha alimentato sempre di più questo allontanamento e una fragilità di quell’alleanza terapeutica che invece è sempre stata lo strumento più importante per combattere le malattie, per affrontare una corretta cura e una corretta riabilitazione dei pazienti. Fatta questa premessa, la legge ha una parte preventiva molto importante. Non solo l’obbligatorietà della copertura assicurativa, della garanzia assicurativa di tutte le strutture pubbliche e private. Nel nostro Paese, lo ricordiamo, ci sono numerose strutture pubbliche e private che non hanno alcuna forma di garanzia assicurativa o di forme analoghe. In molte realtà, per risparmiare, sono intervenute mediante meccanismi di autogestione del rischio. Anche il testo della legge fa un tentativo per superare queste formule, che sono comprensibili in un momento emergenziale, ma nel momento in cui la legge dovesse produrre gli effetti desiderati, credo che queste formule dovrebbero essere abbandonate. Tra l’altro il testo della legge prevede una forma di transizione tra le modalità di autogestione del rischio, verso un ritorno alle forme di tutela attraverso le coperture assicurative”.
È importante far presente ai cittadini il rischio di rivolgersi a una struttura priva di copertura assicurativa?
“Si tratta di un rischio vero: è molto peggio che andare in automobile senza cinture di sicurezza. A ciò si aggiunge il nuovo diritto alla sicurezza delle cure. La sicurezza delle cure, con questa legge, diventa parte integrante del diritto alla salute (art. 32 Costituzione). E questo nuovo diritto viene declinato come un vero e proprio impegno organizzativo prevendendo l’obbligatorietà della funzione di risk management in tutte le strutture pubbliche e private, perché è lì che dobbiamo agire. Ai miei colleghi medici chiedo sempre di creare una nuova cultura preventiva, un background culturale, professionale, di competenze e di capacità negli operatori della sanità perché quell’evento che è successo nell’ospedale di Milano non si ripeta più. Anzi. Diventi patrimonio dell’intera comunità scientifica e che il potenziale errore diventi un esempio da prevenire in tutto il nostro Paese. Il nostro compito è proprio questo: evitare che questi episodi si trasformino in un danno a carico del paziente. Questo è l’elemento strategico. Ecco perché il modello prevede le strutture di risk management. Ecco perché è prevista una tutela degli operatori che lavorano con il risk management”.
E a proposito di trasparenza dei dati dei luoghi di cura?
“Ciò attiene al tema della cultura preventiva, del background culturale. I cittadini devono sapere che errare è umano, che medici e infermieri non sono infallibili come non lo sono le strutture sanitarie. Ed è giusto che il cittadino sappia attraverso i potali e i siti internet delle strutture sanitarie pubbliche e private la dimensione del contenzioso, i massimali delle garanzie assicurative che quella struttura detiene, la relazione annuale che viene elaborata per definire il percorso e le modalità di gestione del contezioso della singola realtà. Insomma la trasparenza è requisito fondamentale per far emergere le situazioni incresciose che creano difficoltà negli operatori, nella sanità e soprattutto nei pazienti”.
Altro fattore preventivo è la documentazione sanitaria?
“La documentazione sanitaria, nel nostro Paese, è stata ed è gestita in maniera primitiva. Abbiamo ancora oggi le cartelle cliniche cartacee. Io faccio il direttore sanitario di professione e ho firmato qualche tonnellata di carta, di cartelle sanitarie. Sulle cartelle cartacee spesso si appongono modifiche, vengono scritte male, sono incomplete, sono spesso inaffidabili e la documentazione sanitaria va e viene, alcuni fascicoli si perdono, sono incompleti, ecc. La legge spinge verso la cartella digitale perché offre garanzie di trasparenza, di comprensibilità, di facile riproducibilità. Ci vorrà naturalmente del tempo per il passaggio dal cartaceo al digitale, ma vogliamo muoverci in questo senso”.
di Marianna Castelluccio