“Borsa Italiana non dispone l’inizio delle negoziazioni e pertanto il provvedimento di ammissione delle azioni della Banca Popolare di Vicenza è da considerarsi decaduto”. Con una nota, Piazza Affari blocca la quotazione in Borsa della banca finita nel crack affermando che “non sussistono i presupposti per garantire il regolar funzionamento del mercato”.  Infatti, la verifica sufficiente distribuzione degli strumenti finanziari ha dimostrato che il 91,7% del capitale sarebbe stato in mano ad un unico soggetto, il Fondo Atlante. La restante quota ripartita tra investitori istituzionali (5%), azionisti preesistenti (2,8%) e pubblico indistinto (0,3%). Con il fallimento dell’Ipo, il Fondo Atlante si troverà così a gestire il 99,3% del capitale. Sgr, la società di gestione del Fondo, conferma infatti che provvederà ad una integrazione di liquidità pari a 1,5 miliardi di euro che servirà per la ristrutturazione, la valorizzazione e il rilancio della Banca.
La notizia della mancata quotazione in Borsa dei titoli BPVI è stata accolta con toni pacatamente positivi dal mondo della finanza: gli amministratori delegati di Unicredit, Federico Ghizzoni, e lo stesso a. d. di BPVI, Francesco Iorio, sottolineano che l’importante è che ora la Banca sia in sicurezza grazie all’iniezione di capitale introdotta da Atlante.
Dal lato dei consumatori, la comunicazione assume un tono diverso. Mara Colla, presidente di Confconsumatori, all’indomani della mancata quotazione commenta: “Il buon esito dell’aumento di capitale della BPVI, sottoscritto essenzialmente dal Fondo Atlante garantisce la salvezza della banca e dei suoi correntisti ed obbligazionisti. Il fallimento del tentativo di quotazione in Borsa della BPVI, invece, ha come conseguenza diretta che le azioni detenute dai circa 117.000 azionisti ormai non hanno più alcun valore. A questo punto, l’unica alternativa per gli azionisti, rispetto alla perdita totale del capitale investito è avviare il tentativo di conciliazione obbligatorio, per poi poter introdurre la causa, laddove la Banca non ritenga di voler conciliare”.
Confconsumatori ritiene ormai indispensabile chiedere ai Tribunali civili di accertare l’invalidità dei contratti di acquisto sottoscritti dai risparmiatori, per le seguenti ragioni: il valore delle azioni negli scorsi anni è stato dolosamente gonfiato; agli azionisti sono stati presentati bilanci che non riflettevano il reale valore del patrimonio netto della banca; le modalità di collocamento in taluni casi hanno violato norme inderogabili del TUB, perché sono state vendute azioni a risparmiatori con un profilo di rischio non coerente; in altri casi le azioni sono state venduta in concomitanza con la concessioni di prestiti e mutui; in altri casi vi sono stati vizi formali negli adempimenti obbligatori a cui la banca era tenuta.
Secondo l’avvocato Antonio Pinto, legale di Confconsumatori: “I numeri del bilancio approvato lo scorso 26 marzo, i risultati delle ispezioni condotte dalle autorità di vigilanza, l’esposto penale presentato dall’attuale management della Banca sulle vicende della passata gestione, sono alcuni degli elementi oggettivi che confermano la bontà delle tesi sostenute da Confconsumatori”.


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