Protesi Pip, cosa fare? Chirurghi: agire ma senza allarmismo
L’Europa chiede studi più approfonditi. I chirurghi plastici italiani hanno deciso di denunciare la società francese Pip che ha realizzato le protesi incriminate. I dati italiani parlano di circa 4500 impianti con Pip fatti in Italia, ma sono provvisori. Rimane il grande dubbio per le donne coinvolte nella vicenda: cosa bisogna fare?
Prova a rispondere l’Aicpe, Associazione Italiana Chirurgia Plastica Estetica, che attualmente riunisce oltre un centinaio di chirurghi plastici estetici e nei giorni scorsi ha deciso di denunciare la società francese Pip e l’ente certificatore tedesco T.U.V. Rheinfeld, chiamato a effettuare i controlli. L’associazione parte da due premesse: non ci sono prove scientifiche della cancerogenicità delle protesi – come evidenziato dal parere d’urgenza del Consiglio superiore di sanità di dicembre, che ha sottolineato però rischi maggiori di rottura e infiammazione – e le seconde operazioni hanno comunque rischi noti. Detto questo, i chirurghi chiedono di rimuovere le protesi laddove ci siano non solo evidenze, ma anche sospetti di problemi sanitari.
Si vogliono evitare allarmismi. E, spiega il presidente Aicpe Mario Pelle Ceravolo, si parte da due premesse: “La prima è che non esistono evidenze scientifiche sul fatto che ci siano legami tra le protesi e il cancro. Anzi, l’incidenza di tale patologia è inferiore a quella che si riscontra tra le donne senza protesi. Anche i dati sulla rottura delle protesi sono incerti, in quanto gli studi esistenti sono stati effettuati con metodologie differenti e quindi non comparabili. Proprio per questo, come associazione, ci stiamo attivando per realizzare un nostro studio relativo alle protesi Pip in Italia. La seconda premessa è che i rischi di una seconda operazione sono invece conosciuti. Ogni intervento chirurgico presenta dei rischi, inoltre molte pazienti sono soddisfatte del loro seno: non c’è certezza che, rioperando senza indicazioni, si avrà un risultato altrettanto buono, senza considerare l’alto rischio di complicazioni”.
Detto questo, ci sono alcune linee di comportamento che per i chirurghi andrebbero seguite da tutti i medici. “Primo,- spiega Pelle Ceravolo – è raccomandabile una visita di controllo semestrale per tutte le pazienti. Secondo, riteniamo necessario che a tutti i pazienti che presentino da un punto di vista clinico o strumentale non solo evidenza, ma anche semplice sospetto di importante contrattura capsulare, sieroma, infiammazioni loco-regionali, adenopatie, lesioni evidenti o rottura franca, siano espiantate le protesi e, se non esistono controindicazioni, sostituite. Terzo, i pazienti con sindrome ansiosa o condizioni psicologiche labili, ma con impianti integri, dovrebbero essere valutati attentamente, se necessario con l’ausilio di colleghi specialisti, e dovrebbe essere data loro la possibilità di sostituzione dell’impianto. Quarto: alla FDA di ogni paese dovrebbe essere inoltre chiesto di valutare e certificare tutti gli impianti che vengono utilizzati sul suo territorio per evitare altre situazioni di altro tipo per altri dispositivi. Quinto, è necessario un registro degli impianti, per avere un rapido follow up di tutte le protesi impiantate, in modo da poter gestire al meglio situazioni di questo tipo”.