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Per la prima volta dal 2006, gli Stati Uniti non sono nella lista dei primi cinque paesi al mondo per numero di esecuzioni: le 20 del 2016 rappresentano il numero più basso dal 1991. Con l’eccezione del 2012, quando è rimasto uguale, il numero delle esecuzioni continua a diminuire di anno in anno dal 2009. Scende anche il numero delle nuove condanne a morte: 32, il dato più basso dal 1973. Tutto ciò rappresenta un chiaro segnale che i giudici, i procuratori e le giurie stanno cambiando idea sulla pena di morte come strumento di giustizia. Tuttavia, alla fine del 2016, nei bracci della morte si trovavano ancora 2832 detenuti in attesa dell’esecuzione.

A descrivere la situazione è il rapporto di Amnesty International sulla pena di morte. “L’uso della pena di morte negli Usa è sceso ai minimi livelli dell’inizio degli anni Novanta. Ma non dobbiamo fermarci. Le esecuzioni potrebbero nuovamente aumentare nel corso del 2017. L’incredibile numero di esecuzioni fissate in Arkansas nel giro di una decina di giorni ad aprile sono un chiaro esempio di come il quadro possa cambiare”, ha commentato Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International.

Nel 2016 solo cinque stati degli Usa hanno eseguito condanne a morte: Alabama (2), Florida (1), Georgia (9), Missouri (1) e Texas (7). L’80% delle esecuzioni ha dunque avuto luogo in due soli stati, Georgia e Texas. Sono 12 invece, compreso l’Arkansas, gli stati degli Usa che mantengono la pena capitale ma che da almeno 10 anni non eseguono condanne a morte.

Il costante declino della pena di morte negli Usa è un segno di speranza per tutti quegli attivisti che da tanto tempo prendono parte alle campagne per porre fine alla pena capitale. Il dibattito sta chiaramente cambiando direzione. I politici dovrebbero stare alla larga da quella triste retorica dell’essere ‘duri contro il crimine’ che ha contribuito alle ondate di esecuzioni degli anni Ottanta e Novanta. La realtà è che nessuno è più sicuro grazie alla pena di morte”, ha sottolineato Shetty.

Ad accompagnare il dato degli Stati Uniti, ci sono anche le cifre della diminuzione delle condanne capitali a livello globale: Iran e Pakistan hanno registrato un considerevole calo (rispettivamente il 42% e il 73% in meno); in Medio Oriente e Africa del Nord il numero delle esecuzioni è sceso del 28%; Benin e Nauru hanno abolito la pena di morte per tutti i reati, mentre la Guinea l’ha abolita solo per i reati ordinari.

Ma le buone notizie, se così si possono definire, finiscono qui. A destare la massima preoccupazione degli attivisti è infatti la situazione tutt’altro che trasparente che riguarda la Cina.

Nel paese, ogni anno, vengono messe a morte migliaia di persone e le autorità di Pechino spesso tengono segreto lo scioccante livello di esecuzioni, nonostante proclamino continuamente che sono in corso passi avanti in direzione della trasparenza.

Le ricerche di Amnesty International sulla Cina hanno messo in luce che centinaia di casi documentati di pena di morte non sono presenti nel registro giudiziario online, da subito pubblicizzato come un “passo avanti decisivo verso l’apertura” e regolarmente citato come prova che il sistema giudiziario cinese non ha nulla da nascondere.

Il registro in realtà contiene solo una piccola parte delle migliaia di condanne a morte che Amnesty International ritiene siano emesse ogni anno in Cina. Questa è la conferma che il governo continua a nascondere quasi del tutto il numero delle condanne a morte e delle esecuzioni.

Amnesty International ha potuto accertare, sulla base di fonti pubbliche cinesi, che tra il 2014 e il 2016 sono state eseguite almeno 931 condanne a morte, solo 85 delle quali sono riportate nel registro. Il registro, inoltre, non contiene i nomi dei cittadini stranieri condannati a morte per reati di droga, sebbene i mezzi d’informazione locali abbiano dato notizia di almeno 11 esecuzioni del genere. Sono assenti anche numerosi casi relativi a “reati di terrorismo”.

La Cina vuole essere un paese guida per il mondo, ma dal punto di vista della pena di morte lo guida nel peggior modo possibile: mettendo a morte più persone di quanto fa il resto del mondo. Il governo cinese ha ammesso i ritardi in tema di apertura e trasparenza ma continua a fare di tutto per nascondere il reale livello delle esecuzioni. È davvero giunto il momento che la Cina tolga il velo a questo segreto mortale”, ha aggiunto Shetty.

Negli ultimi anni il rischio di essere messi a morte per reati non commessi ha suscitato allarme nell’opinione pubblica cinese. Nel dicembre 2016 la Corte suprema del popolo ha riconosciuto l’errore giudiziario in uno dei casi più noti, l’esecuzione di Nie Shubin, messo a morte 21 anni prima all’età di 20 anni. Sempre lo scorso anno i tribunali cinesi hanno riconosciuto l’innocenza di quattro condannati a morte annullandone la sentenza.


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