Oltre COP22, Legambiente: prepariamoci alla sfida delle migrazioni ambientali
Che sia a causa di persecuzioni politiche, razziali o religiose, o per via di una guerra violenta o ancora per motivi economici e lavorativi, la spinta alla migrazione è qualcosa che appartiene alla natura umana fin dalla notte dei tempi. Oggi si sta riproponendo una leva alla migrazione che da molo tempo non compariva sulla scena. I cambiamenti ambientali e climatici che stanno subendo un’accelerazione notevole in questi anni diventeranno a breve un motivo in più per indurre la mobilità umana. Di migrazioni ambientali si è discusso nella prima giornata di “The Path”, il meeting internazionale organizzato da Legambiente in collaborazione con la Pontificia Università Lateranense, Azione Cattolica Italiana, Sustainable Development Solutions Network e PosteAssicura.
Quello della migrazione ambientale è al momento un fenomeno dai contorni ancora incerti sia sul piano delle stime numeriche, sia sotto il profilo della definizione e della tutela. Infatti, nonostante i diversi studi non esistono stime certe relative al numero dei profughi per cause climatiche; non esistono definizioni riconosciute del migrante ambientale e, di conseguenza, non esistono piani di intervento adeguati al fenomeno.
Secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre del Norwegian Refugee Council, che studia a livello mondiale il fenomeno degli sfollati interni agli Stati, dal 2008 al 2015 ci sono state 202.4 milioni di persone delocalizzate/sfollate, il 15% per eventi geofisici come eruzioni vulcaniche e terremoti, e l’85% per eventi atmosferici. Le previsioni sul potenziale numero di migranti ambientali entro il 2050 variano da 50 milioni a 350 milioni; la stima più citata è quella fornita da Myers, che prevede 200 milioni di potenziali migranti ambientali entro il 2050.
Al di là delle stime, di certo, sappiamo che il fenomeno dei profughi climatico-ambientali è di rilevanza primaria e di intensità superiore ai profughi da guerra. Secondo l’Organizzazione mondiale delle migrazioni (IOM), nel 2014 la probabilità di essere sfollati a causa di un disastro è salita del 60% rispetto a 40 anni fa.
“Siamo di fronte ad un cambiamento storico sia sul piano sociale e antropologico che geopolitico, ed è per questo che servono visioni politiche lungimiranti”, ha dichiarato la presidente di Legambiente Rossella Muroni. All’indomani della chiusura della Conferenza Internazionale sul Clima di Marrakech, il mondo si è svegliato con la presidenza degli Stati Uniti affidata Donald Trump che, durante la sua campagna elettorale, non si era certo dichiarato paladino dei valori ambientalisti. Ma, come sottolinea il direttore scientifico di Kyoto Club, Gianni Silvestrini, “La nuova presidenza arriva troppo tardi per fermare il cambiamento”.
Occorre fare uno sforzo comune però perché le buone pratiche diventino abitudini di vita nuove in grado di rallentare i mutamenti del clima. Una vera e propria “Jihad”, come provocatoriamente afferma Izzeddin Elzir, Presidente dell’Unione delle Comunità Islamiche d’Italia, richiamandosi al significato letterale del termine arabo: “Serve uno sforzo comune per cambiare le nostre abitudini e impedire che milioni di persone siano costrette a lasciare i propri paesi d’origine a causa della siccità o altre calamità naturali”.
La rivoluzione energetica e la lotta per contrastare i cambiamenti climatici rappresentano l’antidoto strategico più sicuro per costruire una seria giustizia climatica a livello globale e per creare nuove occasioni di lavoro, premessa indispensabile per ridurre la povertà, marginalizzare le cause di conflitto, ridurre i flussi migratori e provare ad invertire quella che in modo così incisivo Papa Francesco ha definito ‘La terza guerra mondiale a pezzi’”.
I migranti ambientali non rientrano nella figura di rifugiato riconosciuta dalla Convenzione di Ginevra, per cui a livello di protezione internazionale non hanno alcun diritto e questo fa sì che il sistema internazionale di protezione sia del tutto inadeguato ad affrontare quanto sta avvenendo in questi anni. “Occorre che l’Europa si faccia promotrice presso l’ONU di una revisione della Convenzione di Ginevra perché vengano riconosciuti diritti ai profughi economici ed ambientali, svolgendo ancora una volta nel mondo il ruolo di leader”, aggiunge Rossella Muroni.