Scoppia il caso sull’olio di palma: l’Unione italiana olio palma sostenibile contesta le analisi effettuate dal Test-Salvagente che dimostrano che un altro olio è possibile (per l’industria alimentare). “Ha usato metodi discutibili” che potrebbero confondere i consumatori scrive a Repubblica Giuseppe Allocca, presidente dell’Associazione. La replica della rivista appena pubblicata sul blog Certi Consumi.
L’Unione italiana olio palma sostenibile, costituita tra l’altro da Ferrero, Unilever, Nestlè, invita “a dissociarsi da chi genera falsi allarmismi creando cattiva informazione”. “A nostro avviso, i risultati del reportage sono contestabili sotto vari punti di vista – spiega il presidente Giuseppe Allocca – In primo luogo, gli oli presi in esame sono gli stessi che possono essere acquistati in qualsiasi supermercato dal consumatore (prodotti finiti), si va da quelli per condimenti a quelli per fritture, fino a quelli per la preparazione di dolci da fare in casa. Si tratta quindi di prodotti assai diversi da quelli usati dall’industria alimentare (oli grezzi ad uso industriale). Parliamo di materie prime simili, ma che sono lavorate in modo differente perché destinate ad usi diversi. Confrontare quindi i risultati ottenuti seguendo questo metodo significa commettere un errore”.
L’Associazione contesta anche il fatto che “l’indagine mette in relazione dati europei Efsa (calcolati sulla media dei 28 Paesi UE) con dati italiani evidentemente ottenuti con metodi analitici diversi. Infine confrontare e analizzare oli così diversi tra loro è un altro errore di metodo. La presenza di contaminanti negli oli vegetali raffinati, infatti, dipende principalmente da come l’olio viene raccolto, stoccato e lavorato e non dalla tipologia di olio in sé. L’olio di palma – conclude Allocca – ottenuto da frutti spremuti in tempi brevi dopo il raccolto e lavorati a temperature adeguate, presenta contaminanti in quantità prossime a quelle minime che si riscontrano in altri oli vegetali raffinati, come quelli di semi (girasole, mais, colza, etc). L’olio di palma quindi non è tutto uguale, dal punto di vista alimentare, oltre che sociale e ambientale”.
“Altro che falsi allarmismi, quello dell’Unione italiana olio di Palma sostenibile sembra il canto del cigno – scrive il Test-Salvagente – A condannare l’uso di questo grasso non è stato certo il nostro test ma le analisi dell’Efsa che hanno mostrato un livello “monstre” di sostanze “potenzialmente cancerogene”. “È quella clamorosa rivelazione che ha sconfessato chi per anni ha sostenuto che l’olio di palma era un prodotto sicuro, arrivando ad arruolare in una campagna dagli aspetti pubblicitari perfino personaggi di spicco dell’Iss come il dottor Silano, tranne poi essere costretta a fare marcia indietro dallo stesso Istituto superiore di Sanità”.
 
“L’accusa di Allocca è dunque pretestuosa – osserva il Test-Salvagente – non è infatti vero che gli oli di palma analizzati dall’Efsa arrivano sulle nostre tavole attraverso merendine, biscotti, creme spalmabili, perfino latti in polvere per neonati?
E, a meno di voler contestare i dati diffusi dall’Efsa, il contenuto del tanto temuto 3-mcpd arriva intatto nella dieta dei più piccoli. A dirlo, ancora una volta, non siamo noi, ma è la stessa Efsa che ammonisce come “per le fasce di età più giovani, adolescenti compresi (fino a 18 anni di età), supera la dose giornaliera tollerabile e costituisce un potenziale rischio per la salute”. Si tratta di medie europee, vero, ma come si può sostenere che l’Italia sia un’isola felice dove l’olio di palma è miracolosamente più sano che nel resto d’Europa?
“Non ci sono più scuse – scrive la rivista – Lo spirito del test era di dimostrare che all’olio di palma vi è alternativa. E questo appare chiaro dalle analisi, condotte in maniera seria e autorevole da un ordinario di Chimica degli Alimenti del dipartimento di Farmacia dell’Università Federico II di Napoli. Capiamo che questo possa non piacere a chi ha costituito un consorzio a difesa dell’olio di palma, investendo centinaia di migliaia di euro in pubblicità. Ma di certo è un tema che tocca da vicino molte industrie italiane e tutti i consumatori. Non è un caso che, in virtù del principio di precauzione, intere catene e grandi marchi abbiano fatto un passo indietro nell’uso del palma”.


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