La banca non può prevedere le variazioni del tasso di cambio di una valuta negli anni. E dunque se i consumatori hanno contratto mutui e prestiti in valuta estera, l’obbligo di rimborsare le rate nella valuta estera non può essere considerato di per sé una clausola abusiva. Queste le conclusioni cui è giunto l’avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Unione europea, che si è pronunciato su un caso relativo a clausole di contratti di credito che prevedevano il rimborso dell’importo versato nella valuta estera nella quale il credito è stato concesso – in quel caso, franchi svizzeri.

Il requisito secondo il quale le clausole contrattuali devono essere redatte in modo chiaro e comprensibile – argomenta l’avvocato della CGUE – non può imporre al professionista di predire le evoluzioni successive non prevedibili, quali le fluttuazioni eccezionali dei tassi di cambio, e di informarne il consumatore. Il caso in questione riguarda decine di cittadini romeni che, fra il 2007 e il 2008, avevano concluso con la banca romena SC Banca Românească contratti di credito in franchi svizzeri (CHF) finalizzati all’acquisto di beni immobili, al rifinanziamento di altri crediti o al soddisfacimento di esigenze personali. I mutuatari erano tenuti a rimborsare le rate mensili in franchi svizzeri. Fra il 2007 e il 2014, però, il tasso di cambio fra i franchi svizzeri e il leu romeno è quasi raddoppiato. Per i mutuatari, la banca era in grado di prevedere tali fluttuazioni del tasso di cambio e dunque le clausole che prevedevano il rimborso del credito in franchi svizzeri vanno considerate abusive. La questione è finita davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.

E oggi si è pronunciato l’avvocato generale Nils Wahl che fa riferimento, oltre che al testo delle clausole contrattuali, al contesto di fatto e di diritto nel quale sono stati conclusi i contratti di credito. In primo luogo, l’avvocato osserva che “ai contratti di credito in valuta estera è generalmente applicato un tasso d’interesse più basso rispetto a quelli in valuta nazionale per compensare il «rischio di cambio» che essi possono determinare in caso di svalutazione della valuta nazionale. In secondo luogo, rileva che la banca ha concesso i prestiti in CHF e che ha diritto a ottenere i rimborsi di tali prestiti nella stessa valuta”. Secondo l’avvocato generale, l’obbligo di rimborso delle rate mensili in franchi svizzeri non può essere considerato un elemento accessorio del contratto, ma fa effettivamente parte degli elementi chiave del contratto di credito in valute estere.

La clausola di un contratto deve essere chiara e comprensibile. Ma un consumatore medio e normalmente informato e avveduto, prosegue l’avvocato, “dovrebbe non solo essere informato circa la possibilità di un aumento del valore o di una svalutazione della valuta estera, ma anche essere posto in grado di valutare le conseguenze di una tale clausola sui propri obblighi finanziari. Il requisito secondo cui le clausole contrattuali devono essere redatte in modo chiaro e comprensibile – spiega dunque l’avvocato della CGUE –  non può tuttavia giungere fino al punto di imporre al professionista di predire le evoluzioni successive non prevedibili, come le fluttuazioni dei tassi di cambio delle valute oggetto della controversia, di informarne il consumatore e di assumersene le conseguenze”. Nella pronuncia dunque l’avvocato pone l’attenzione sul fatto che il professionista – in questo caso, la banca – non può essere considerato responsabile di evoluzioni successive al contratto che non dipendono dalla sua volontà, come le variazioni del tasso di cambio: sarebbero obblighi sproporzionati, perché “si deve tener conto di tutte le circostanze che il professionista avrebbe potuto ragionevolmente prevedere al momento della conclusione del contratto”. Le variazioni del tasso di cambio vengono considerate tema sulla quale il professionista non esercita controllo e che dunque non può prevedere.


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