Migrazioni internazionali e post-verità: intervista al Vice Presidente CESE
Secondo un recente sondaggio del Pew Research Center, un americano su quattro ha condiviso, in modo consapevole e non notizie false apparse sul web, mentre quasi due terzi dichiara che le “bufale” create ad arte generano parecchia confusione sui fatti di attualità. Le notizie false, la cosiddetta “Post-Truth”, sono un fenomeno crescente che sta suscitando un acceso dibattito anche nel nostro Paese. Alla fine dell’anno il Presidente dell’Antitrust, Giovanni Pitruzzella, è intervenuto invocando la necessità di dettare regole comuni a livello europeo per impedire la proliferazione di notizie false. Il rischio di diffondere informazioni incomplete e non sufficientemente verificate è dietro l’angolo e riguarda tutti i media, da quelli di nuova generazione ai canali main stream tradizionali. Sia che si racconti la politica nazionale, l’economia o un fatto di cronaca dovrebbe essere dovere della stampa prestare la dovuta attenzione ai contenuti che si trasmettono.
Lo scorso mese di novembre, la stampa europea ha recitato il sua “Mea culpa” su un aspetto in particolare nel corso di un incontro organizzato dal Comitato Economico e Sociale Europeo dal titolo “Comunicare la migrazione”.
Migrazioni internazionali, rifugiati e migranti sono attualmente sulla cresta dell’onda del panorama informativo, riempiendo quotidianamente le pagine della carta stampata e i servizi in onda sui telegiornali di mezzo mondo. Il ruolo dei giornalisti e degli addetti stampa della società civile è quindi cruciale per fare in modo che non si abbia un’immagine sbagliata delle migrazioni.
Sull’argomento abbiamo ascoltato l’opinione di Gonçalo Lobo Xavier , Vice Presidente del CESE, cercando innanzitutto di capire la dimensione del fenomeno migratorio in Europa.
“250 milioni di persone nel mondo sono migranti. Per lungo tempo l’Europa stessa è stata un continente di emigrazione, per poi diventare a partire dagli anni ’60 sempre più un continente di immigrazione. Durante gli ultimi 10 anni, l’Europa sta fronteggiando un aumento dei flussi di immigrazione e di rifugiati che ha raggiunto il picco massimo tra il 2015-2016 con 1.1 milioni di arrivi, solo nel 2015. Si tratta in effetti di un grande numero, ma per un continente con più di 500 milioni di persone non dovrebbe essere un problema assorbirlo, specialmente se si compara con paesi come il Libano con 4 milioni di abitanti e un milione di rifugiati. Non c’è dubbio che l’Europa abbia la capacità di ospitare questo numero di migranti e la società civile abbia un ruolo vitale nel dare accoglienza a queste persone. La tragica situazione umanitaria nel 2015 non sarebbe potuta essere gestita senza il supporto delle ONG, enti di beneficienza e individui. Eppure, non vorrei parlare di crisi migratoria, ma piuttosto di un’emergenza rifugiati e di una crisi politica”.
Tuttavia, titoli spesso catastrofistici, numeri roboanti e grande confusione tra chi fugge da guerre e persecuzioni e chi ha invece “solo” il bisogno di darsi un’altra occasione di vita migliore trovano costantemente posto nell’informazione mediatica.
Quali sono dunque gli elementi che incidono sul modo in cui il fenomeno è rappresentato dai governi e dai media? “Vorrei citarne quattro. In primo luogo: c’è un modo di dire che dice “niente è più vecchio di un giornale di ieri”. Noi viviamo in un’epoca che si muove velocemente. Per i giornalisti è sempre più difficile trovare notizie in modo approfondito. In più, con i social media chiunque può essere un giornalista e un’informazione sbagliata o non opportunamente controllata si diffonde rapidamente in ogni dove. Gli algoritmi fanno il resto. I politici e i media tradizionali hanno bisogno di reagire velocemente.
Punto secondo, le fonti: leggendo l’eccezionalità dell’alto numero di rifugiati e migranti nel 2015- che sia attesa o meno- i decisori politici sono stati all’inizio a volte sopraffatti, quasi incapaci di far fronte alla cosa e anche per i media tradizionali è stato difficile dare la giusta informazione. Dall’altro lato, c’è stata tanta informazione esterna– proveniente dagli individui singoli, dalla società civile, ecc- che spesso non era ben contestualizzata. Di conseguenza, il quadro era spesso confuso, almeno tra settembre e ottobre dello scorso anno.
Terzo, le migrazioni dello scorso anno ci hanno mostrato molto chiaramente il potere che le immagini possono avere. Sia l’opinione pubblica che le razioni della politica sono state influenzate da queste immagini. Mentre c’è stata una forte empatia all’inizio, le masse di giovani uomini che attraversavano i confini austriaci e tedeschi hanno causato paura e rifiuto. Poi c’è stata l’immagine del piccolo siriano annegato nel Mediterraneo, il suo corpo trascinato a riva ha cambiato di nuovo l’umore, evocando empatia e disponibilità tra l’Europa e l’azione dei governi. Ma alla fine del 2015 gli incidenti di Coloni, gli attacchi in altre città della Germania e gli attacchi terroristici a Parigi e Bruxelles causati dai Jihadistis, hanno mutato ancora una volta l’atmosfera in Europa, facendo sorgere il sospetto e l’avversione verso i rifugiati in particolare verso quelli con un background islamico.
Un altro aspetto è che i migranti sono diventati il capro espiatorio e i principali “colpevoli” di tutti i problemi sociali: disoccupazione, abusi dei vantaggi sociali, comportamenti antisociali, criminalità, ecc. sono diventati un facile bersaglio per i politici di destra e, essendo un gruppo sottorappresentato, i migranti non possono difendersi adeguatamente”.
Data questa situazione, viene spontaneo pensare che siano molti gli errori abitualmente commessi e da cui derivano rischi la cui rilevanza è spesso difficile da percepire. “Continuando a parlare del potere delle immagini”, spiega Lobo Xavier, “è importante non solo mostrare le immagini, ma anche metterle nel giusto contesto. Inoltre, abbiamo bisogno di comunicare chiaramente le cifre. Dobbiamo fare una distinzione tra rifugiati e migranti. Dobbiamo osservare la migrazione in un contesto più ampio e impegnarci in un dibattito su come aiutare i paesi d’origine. 250 milioni di persone sono in fuga ma solo una piccola parte viene in Europa. L’Europa ha bisogno di un comune sistema di asilo e immigrazione per assicurare una più efficiente, equa e umana politica di immigrazione e asilo.
Inoltre, dobbiamo raccontare tutte le storie, non solo quelle cattive. Non c’è dubbio che ci siano problemi con i migranti e le persone hanno bisogno di essere informate sulle conseguenze negative quando esse accadono, ma esse hanno anche bisogno di essere correttamente informate sulle storie buone, sulla gratitudine che i rifugiati sentono ed manifestano alle società ospitanti, il valore aggiunto che essi portano alle comunità locali. Dobbiamo anche far conoscere alle persone che cosa ne è stato di loro. I rifugiati devono essere capaci di raccontare le loro storie. Sono esseri umani che hanno avuto una vita una vita del tutto simile alla nostra prima di perdere tutto– le loro proprietà ma anche e più tragicamente le loro famiglie e amici, dobbiamo dare loro una voce in modo che questo possa far sorgere empatia e soprattutto promuovere la reciproca comprensione”.
Un elemento dal quale non si può prescindere deriva dal fatto che i social media sono oggi diventati fattori importanti e imprescindibili nella formazione dell’opinione pubblica. Tuttavia, il bisogno di ricorrere al “like” o ad un rapido aggiornamento allo scopo di sopravvivere nell’universo online, sacrifica spesso la qualità dell’informazione. “Molte delle informazioni che si diffondono tramite i social network non sono controllate”, sottolinea il Vice Presidente. “Quindi la falsa informazione può essere spedita velocemente in tutto il mondo e come già detto, gli algoritmi fanno il resto. Per me è importante che riusciamo a mantenere la qualità del giornalismo e che lavoriamo insieme per spingere le persone a leggere i giornali di qualità e guardare Tv di qualità piuttosto che avvalersi solo dei social media. Tuttavia, il giornalismo di qualità ha anche bisogno di usare i social media e quindi diffondere informazioni verificate e rigettare quelle false. La stessa cosa si deve richiedere anche ai governi e alla società civile. Abbiamo bisogno di essere più presenti nei social media: non possiamo fermare il loro sviluppo, dobbiamo adattarci ad esso”.
La descrizione del fenomeno e il modo in cui esso viene recepito dai paesi rischia di influenzare le politiche migratorie adottate dai paesi interessati. Quanto possono essere importanti quindi le linee guida europee?
“Naturalmente, c’è una connessione tra il modo in cui la migrazione è percepita in alcuni paesi e il modo in cui i paesi rispondono ad essa, dando forma alle loro politiche migratorie. La percezione è spesso guidata dalla paura, soprattutto nei paesi che hanno solo recentemente acquisito una qualche ricchezza e benessere sociale e hanno paura di perderlo. In aggiunta a questo, siccome molti di loro sono abituati a società chiuse in sé stesse, essi hanno anche più spaventati dagli stranieri/migranti rispetto alle società che hanno fronteggiato la migrazione per 60 anni. Le linee guida europee potrebbero costituire un’utile cornice di riferimento per i governi nello sviluppare le loro politiche. Ma in generale il CESE e io personalmente siamo convinti che non abbiamo solo bisogno di linee guida ma di una politica migratoria comune. La migrazione riguarda molti aspetti della società e l’Europa non può essere gestita da un unico Stato ma dall’Unione europea per intero”.
I cittadini europei vogliono davvero i rifugiati vicino alle loro case? Sì, questa è la domanda. Siamo tutti esemplari nel rispondere a domande come: Pensi che il tuo paese dovrebbe accettare i rifugiati? Siete disposti a fare spazio per i rifugiati in Europa? Ma poi passerebbero come le prigioni, impianti di smaltimento, la discarica o aeroporti non desiderate accanto alla propria casa, perché sono fastidiosi, puzzolenti, fanno rumore, portano il crimine, ecc, ecc. E ‘vero che ci sono i cittadini, le organizzazioni, comuni o comunità che hanno messo a disposizione dei rifugiati piani, centri multimediali o scuole disponibili a lavoro con i rifugiati; ma è anche vero che sono meno e che alcuni di loro, lo hanno fatto per ragioni puramente politiche o di propaganda
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