Made in Italy, protesta Coldiretti: 33% di nostra produzione ha ingredienti stranieri
Quanto cibo Made in Italy c’è nei nostri piatti? Sempre meno: contiene materie prime straniere il 33% della produzione totale dei prodotti agroalimentari venduti in Italia ed esportati con il marchio Made in Italy, all’insaputa dei consumatori e a danno delle aziende. E’ quanto emerge dal dossier di Coldiretti, presentato oggi mentre è in corso la protesta di migliaia di agricoltori che hanno bloccato la frontiera del Brennero tra Italia e Austria con la slogan “La battaglia di Natale: scegli l’Italia”.
La protesta è per difendere l’economia e il lavoro dalla concorrenza sleale che arriva da importazioni di bassa qualità spacciate per italiane. Alla mobilitazione partecipa anche il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Nunzia De Girolamo, che ha assistito anche a un controllo, eseguito dalle forze dell’ordine preposte, a un camion che trasportava cosce di carne di maiale, alcune delle quali non marchiate correttamente
“Sono qui oggi perché credo profondamente nel Made in Italy che è la vera forza del nostro Paese, la leva di sviluppo sui cui dobbiamo puntare per uscire dalla crisi che stiamo vivendo – ha detto De Girolamo – Abbiamo il dovere di difendere la produzione italiana, la qualità che esprime, il lavoro di chi contribuisce ogni giorno a realizzare le nostre eccellenze che conquistano i mercati stranieri, ma abbiamo il dovere di garantire anche i consumatori che devono essere messi nella condizione di sapere in modo chiaro e immediato ciò che comprano. Tutti devono sapere quello che mangiano, tutti devono sapere quello che comprano. Si tratti di origine o di sicurezza”.
Nel frattempo, anche il Corpo forestale dello Stato sta effettuando controlli a Vipiteno. “Crediamo che l’Europa sia un valore, siamo europeisti convinti, ma dobbiamo difendere l’agricoltura italiana, non quella tedesca. Sono convinta che l’Italia abbia un potere e un potenziale enorme. E questo grazie al lavoro degli agricoltori italiani che in tutti questi anni – ha dichiarato il Ministro – si sono dedicati a portare avanti la qualità, la tradizione, i nostri valori identitari. Il risultato lo abbiamo visto ed è sotto gli occhi di tutti: è il nostro patrimonio agroalimentare, unico e insostituibile. Lo dobbiamo proteggere e valorizzare”.
Il Ministro ha sottolineato che “un’altra questione fondamentale per noi è quella dell’etichettatura, per cui siamo oggi qui”. “Dobbiamo portare avanti anche questa battaglia e lo dobbiamo fare anche per la carne di maiale, in Italia come in sede comunitaria. Nel corso degli anni, il nostro Paese è riuscito a fare dei passi in avanti importanti in questa direzione. Ma, certo, resta ancora molto da fare e dobbiamo andare avanti con determinazione. Facciamo il nostro percorso, un passo alla volta, per ottenere quello che davvero merita il nostro patrimonio agroalimentare, che tutto il mondo ci invidia e per questo imita”.
“In un mercato globalizzato come quello in cui ci troviamo, i consumatori non sono però nella condizione di comprendere esattamente quali prodotti siano italiani e quali no. Dobbiamo affrontare con tutte le nostre forze – ha aggiunto il Ministro – le sfide con cui abbiamo a che fare a Bruxelles e questo lo dobbiamo fare per salvaguardare il nostro patrimonio e i nostri agricoltori non solo a livello economico. Perché si tratta di una necessità per il nostro Paese anche a livello culturale”.
De Girolamo ha affrontato anche il problema dell’abbandono delle terre agricole: “Basta alla colata di cemento che spazza via le nostre campagne. Abbiamo un provvedimento, che rappresenta un vero e proprio progresso di civiltà, come il disegno di legge contro il consumo del suolo agricolo che dobbiamo far diventare legge il prima possibile. E anche in questo caso, ricordiamocelo, si tratta di una battaglia culturale”.
Parlando di tutela del territorio e dell’agricoltura, il Ministro ha ricordato il provvedimento sulla Terra dei fuochi, varato ieri in Consiglio dei Ministri: “ci permetterà di definire con esattezza quali sono le terre inquinate e quali no, per poi individuare le aree food e no food, mettendo così la parola fine alle speculazioni a cui stiamo assistendo, ma soprattutto garantendo la salute di chi vive e opera in quelle terre. Faremo quella che chiamo un’operazione verità”. “Quello che davvero serve oggi è un cambio di paradigma e sono davvero soddisfatta di potervi confermare anche qui che il Governo Letta sta dimostrando segnali di attenzione nei confronti della nostra agricoltura, che dopo decenni in cui è stata considerata la Cenerentola del Paese, oggi sta recuperando attenzione, come dimostra anche l’aumento dei giovani che si dedicano a studi agrari e che vedono nel comparto una valida soluzione alla crisi”.
“Il flusso ininterrotto di prodotti agricoli che ogni giorno dall’estero attraversano le frontiere serve a riempiere barattoli, scatole e bottiglie da vendere sul mercato come Made in Italy – denuncia il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo – Gli inganni del finto Made in Italy sugli scaffali riguardano 2 prosciutti su 3 venduti come italiani, ma provenienti da maiali allevati all’estero, ma anche 3 cartoni di latte a lunga conservazione su 4 che sono stranieri senza indicazione in etichetta, oltre un terzo della pasta ottenuta da grano che non è stato coltivato in Italia all’insaputa dei consumatori, e la metà delle mozzarelle che sono fatte con latte o addirittura cagliate straniere”.
Lo schema quindi è questo: cercare materie prime a basso costo e di minor per risparmiare, e poi vendere il prodotto con l’etichetta Made in Italy perché si riferisce al luogo di confezionamento. I rischi sulla salute sono un optional.
L’Italia ha il primato in Europa e nel mondo della sicurezza alimentare con il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici oltre il limite (0,3%), inferiori di 5 volte rispetto alla media europea (1,5% di irregolarità) e di 26 volte rispetto a quelli extracomunitari (7,9% di irregolarità), secondo una analisi Coldiretti sulla base dei dati Efsa. Peraltro l’80% degli allarmi alimentari è stato provocato da prodotti a basso costo provenienti da Paesi fuori dall’Unione Europea e a salire sul podio sono stati nell’ordine la Cina, l’India e la Turchia ma a seguire anche Usa, Spagna ,Thailandia, Polonia e Brasile. Si tratta di Paesi che alimentano un forte flusso di importazioni verso l’Italia.
In Italia arriva dall’estero un quantitativo di agrumi freschi pari al 14% della produzione nazionale a cui si aggiungono oltre 300mila quintali di succhi concentrati che finiscono nelle bevande all’insaputa dei consumatori perché in etichetta – sottolinea la Coldiretti – viene indicato solo il luogo di confezionamento. La maggioranza del succo di arancia consumato in Europa proviene dal Brasile sotto forma di concentrato al quale viene aggiunta acqua una volta arrivato nello stabilimento di produzione, a differenza di quanto avviene per la spremuta.
Ma c’è anche l’amato pomodoro: l’Italia importa semilavorati industriali prevalentemente da Cina e Stati Uniti pari a circa il 20% della propria produzione. Per non parlare del latte a lunga conservazione: in Italia dei 2,05 milioni di tonnellate consumati, solo mezzo milione è di provenienza italiana mentre il resto viene semplicemente confezionato in Itala o arriva già confezionato. Poi ci sono i semilavorati come le cagliate, polvere di latte, caseine e caseinati che vengono utilizzati per produrre all’insaputa del consumatore formaggi di fatto senza latte.
L’Italia è anche il più grande importatore mondiale di olio di oliva nonostante una produzione nazionale di alta qualità che raggiunge quota 480mila tonnellate, secondo la Coldiretti. Le importazioni di olio dell’Italia superano la produzione nazionale e sono rappresentate per il 30% da prodotti ottenuti da procedimenti di estrazione non naturali (olio di sansa, olio lampante e olio raffinato) destinati alla lavorazione industriale in Italia. “In pratica la qualità del nostro olio – sostiene la Coldiretti – viene contaminata dalle importazioni e in media la metà dell’olio di oliva consumato in Italia proviene da olive straniere, ma l’etichetta di provenienza che per questo prodotto è obbligatoria risulta di fatto non leggibile perché scritta in caratteri minuscoli posizionati nel retro della bottiglia mentre si fa largo uso di immagini e nomi che richiamano all’italianità.
Attualmente in Italia l’obbligo di indicare la provenienza è in vigore per carne bovina (dopo l’emergenza mucca pazza), pollo (dopo l’emergenza aviaria), ortofrutta fresca, uova, miele, latte fresco, passata di pomodoro, extravergine di oliva, ma ancora molto resta da fare e l’etichetta è anonima per circa la metà della spesa dalla pasta ai succhi di frutta, dal latte a lunga conservazione ai formaggi, dalla carne di maiale ai salumi fino al concentrato di pomodoro e ai sughi pronti.
“In un momento difficile per l’economia dobbiamo portare sul mercato – conclude il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo – il valore aggiunto della trasparenza e dare completa attuazione alle leggi nazionale e comunitaria che prevedono l’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti. Ma è necessario che sia anche resa trasparente l’indicazione dei flussi commerciali con l’indicazione delle aziende che importano materie prime dall’estero, venga bloccato ogni finanziamento pubblico alle aziende che non valorizzano il vero Made in Italy dal campo alla tavola e diventi operativa la legge che vieta pratiche di commercio sleale, tali da permettere di pagare agli allevatori e agli agricoltori meno di quanto essi spendono per produrre”.
Pretendere , in un contesto globale e di libera comunità UE, che la totalità degli ingredienti sia italiano è sognare di tornare al ventennio anteguerra. L’importante è il “savoir faire” che deve essere italiano ed inimitabile, riconoscibile anche all’estero. E poi accettare la gara con i produttori europei nella riduzione dei costi per capacità organizzativa ed ingegno: questa la vera sfida cui non dobbiamo rinunciare, e che Coldiretti non può far finta di ignorare !!!