
Legalità mi piace, Confcommercio contro abusivismo: irregolare il 7% di esercenti
”In Italia 7 esercizi su 100 sono abusivi, nei mercati ambulanti del Mezzogiorno si arriva a un abusivo su 3. Situazione di allarme rosso”. Lo afferma il presidente Confcommercio Carlo Sangalli che, nella giornata di mobilitazione “Legalità mi piace!”, chiede ”tolleranza zero contro ogni forma di illegalità che si annida anche nelle professioni, nei servizi e nei trasporti, per non parlare del contrabbando”.
Ogni impresa commerciale perde 202 mila di fatturato l’anno a causa di abusivismo e illegalità. Lo ha calcolato un’indagine Confcommercio-Censis che per la prima volta “fotografa”, nella maniera più ampia possibile, l’esatta dimensione economica dell’abusivismo e della contraffazione. Fenomeni che, oltre a comportare rischi per gli stessi consumatori, penalizzano le imprese del terziario e dei servizi di mercato già indebolite dagli effetti di una crisi senza precedenti.
Nel commercio, i mancati introiti mettono a rischio l’attività di 43mila negozi regolari l’anno, insieme al lavoro di 79mila addetti regolari. Gli esercizi commerciali irregolari o abusivi sono in media il 7,1% del totale sul territorio nazionale. Nel caso dei mercati e aree pubbliche la media balza però al 19,4%. Percentuale che torna a impennarsi nel caso di Sud e Isole dove la presenza di esercizi illegali sfiora il 12% (11,6%).
La giornata di mobilitazione ha coinvolto oltre 90 associazioni territoriali della Confederazione e quasi 30mila imprenditori del commercio, del turismo, dei servizi e dei trasporti collegati in diretta streaming che darà l’avvio alle iniziative locali. Nata con l’obiettivo di analizzare e denunciare l’entità e le conseguenze sull’economia reale dei fenomeni illegali che, di fatto, rappresentano una vera e propria concorrenza sleale che altera il mercato e alimenta l’economia sommersa.
Quello dell’economia sommersa, in tutte le sue varie forme, è un fenomeno che è cresciuto con il protrarsi della recessione tanto che oltre l’80% di queste imprese si ritengono danneggiate dai fenomeni illegali e 3 imprese su 4, proprio a causa dei meccanismi commerciali fuori dalle regole, denunciano una riduzione di ricavi e fatturato. Ma altrettanto preoccupante è il dato secondo cui proprio la recessione e le difficoltà economiche sono le cause principali che spingono ad acquistare prodotti e servizi illegali, nonostante la stragrande maggioranza dei consumatori (quasi l’80%) sia consapevole dei rischi per la salute e la sicurezza che tali acquisti comportano. La maggioranza dei consumatori e delle imprese si trova comunque d’accordo sull’inefficacia dell’attuale sistema sanzionatorio per contrastare tali fenomeni e sulla necessità di una maggiore sensibilizzazione e informazione su questi temi.
Tra le tante iniziative locali organizzate dalle Associazioni territoriali di Confcommercio che si svolgeranno in occasione della giornata di mobilitazione, si segnalano in particolare: Genova (lenzuola per le vie della città con slogan contro abusivismo e contraffazione), Milano (spettacolo teatrale sul tema della contraffazione), Napoli (mostra fotografica in Piazza Carità e occupazione di spazi di commercio abusivo con i “teli della legalità”), Reggio Calabria (premiazione dei migliori temi degli studenti sulla legalità). In altre città, come Alba, Padova e Torino, verranno posizionati nelle piazze gazebo “anticontraffazione” per sensibilizzare i consumatori e l’opinione pubblica.
Secondo una stima del centro studi di Fipe, la federazione italiana pubblici esercizi aderente a Confcommercio – Imprese per l’Italia, ammonta a 5 miliardi di euro il valore degli affari generati in Italia dal mercato della somministrazione abusiva di alimenti e bevande.
“Da anni denunciamo il fenomeno della concorrenza sleale – precisa il presidente di Fipe, Lino Stoppani – che oltre a danneggiare il settore crea un danno alle casse erariali in quanto gode di regimi di esenzione, anche totale, da imposte. Fipe ha scelto come forma di mobilitazione quella di affiggere nei pubblici esercizi manifesti che denunciano un sistema perverso di attività abusive ed agevolazioni fiscali, peraltro vietate dalla Unione Europea in quanto si configurano come veri e propri aiuti di Stato”. La ristorazione effettuata in occasione di feste di partito e sagre, così come quella da parte di falsi agriturismi, circoli sportivi e culturali effettuata in regime di detassazione e decontribuzione fa mancare entrate allo Stato per circa due miliardi di euro.
Il valore maggiore del mercato abusivo della ristorazione viene realizzato dai bar e ristoranti dei 25 mila circoli sportivi e culturali per 2,7 miliardi di euro. Seguono a ruota i falsi agriturismi per un valore di 1,6 miliardi di euro. A queste cifre va aggiunto il mezzo miliardo di euro generato dalla ristorazione delle oltre 27 mila false sagre che ogni anno si svolgono nel nostro Paese.
“Quello del contrasto al divertimento non controllato è un tema su cui il Silb si sta battendo dal 2006 con l’attivazione di un monitoraggio sulle occasioni di ritrovo danzante non autorizzato che spesso avvengono con un passaparola dell’ultimo minuto – ha detto Maurizio Pasca, presidente del Silb, l’associazione italiana delle imprese di intrattenimento da ballo e di spettacolo aderente a Fipe-Confcommercio – Pochi anni dopo, nel 2010, è stato rafforzato l’osservatorio e dato maggiore impulso alla presentazione di esposti in questura e di segnalazioni alle forze dell’ordine. Nonostante gli sforzi, non sempre si è riusciti a bloccare gli eventi non autorizzati. Il centro studi Fipe, elaborando i dati Silb, ha calcolato che nei soli primi nove mesi del 2013, le iniziative contro l’abusivismo sono state circa un centinaio e tutto lascia pensare che possa essere stato superato il record delle 147 segnalazioni del 2012. In testa alla classifica delle città più attive nelle segnalazioni c’è Parma con 31 denunce, seguita a ruota da Lecce che è stata teatro nell’estate appena trascorsa di vicende drammatiche dovute a feste abusive il cui controllo è sfuggito di mano”.
L’Adoc evidenzia come la lotta alla contraffazione sia una piaga per il sistema economico italiano e debba essere una priorità dell’azione di Governo. “La lotta alla contraffazione deve essere una priorità dell’azione di Governo – dichiara Lamberto Santini, Presidente dell’Adoc – è una piaga che danneggia profondamente sia le imprese che i cittadini, un mostro che ha sottratto al nostro Paese ben 110mila posti di lavoro, ha tenuto fuori dal gettito fiscale 1,7 miliardi di euro e fattura ogni anno circa 7 miliardi di euro. L’Adoc è da sempre impegnata strenuamente in questa battaglia, negli ultimi mesi ha denunciato all’Antitrust numerosi siti web che commerciavano illegalmente prodotti Made in Italy di Ray-Ban, Hogan, Prada, Gucci, causando la chiusura e l’oscuramento di tali siti. Sono state vittorie dei consumatori e del sistema Italia, a dimostrazione che attraverso il lavoro e la collaborazione è possibile arginare e sconfiggere questo odioso fenomeno. Non solo Antitrust, crediamo sia fondamentale incrementare la sinergia e il dialogo tra consumatori, Autorità, Ministero dello Sviluppo Economico, Nas e Guardia di Finanza, senza dimenticare l’apporto delle Associazioni di categoria come Federdistribuzioni e Confcommercio. Occorre anche rafforzare gli strumenti e le risorse a disposizione di tali soggetti, in particolare per Nas e GdF, la cui azione a difesa dei diritti e degli interessi dei consumatori, delle imprese e del Made in Italy è stata, e lo sarà sempre di più, di vitale importanza.”
Per il Codacons “il ricorso ai prodotti falsi è la risposta sbagliata che alcuni consumatori danno alla crisi. Nel tentativo estremo di non ridurre il proprio tenore di vita, le famiglie ricorrono a prodotti contraffatti o comunque a merce meno costosa e di minore qualità, non comprendendo che in tal modo possono anche mettere a rischio la loro salute”. Per l’associazione “la dura realtà, comunque, è che gli italiani non possono più permettersi di comperare i prodotti che acquistavano anni fa. Le difficoltà economiche delle famiglie sono oramai talmente gravi che persino per i prodotti alimentari, beni necessari poco costosi e molto più economici di altri, come abbigliamento e calzature, gli italiani sono stati costretti ad abbandonare i brand leader dell’industria alimentare che hanno reso famoso il made in Italy nel mondo”.
