La crisi nel piatto. Fipe: ecco come cambiano i consumi
Mangiare meno eliminando il superfluo e gli sprechi. Questa la risposta degli italiani alla crisi. La congiuntura economica ha alleggerito di 7 miliardi di euro la borsa della spesa delle famiglie italiane. Ad altri due miliardi ammontano i tagli nei consumi alimentari fuori dalle mura domestiche.
Cambiano così le abitudini a tavola: si torna ai prodotti tradizionali perché costano meno e sono sempre di meno le famiglie che quotidianamente fanno un pasto completo con primi piatti e contorni che vengono preferiti ai secondi. E’ la fotografia dei consumi alimentari degli italiani scattata dalla ricerca della Fipe-Confcommercio presentata a Sapore 2012 nel convegno inaugurale della Fiera di Rimini dedicata all’alimentazione. “Sono dati – ha commentato il vicepresidente Fipe, Alfredo Zini – che in qualche modo ci aspettavamo. Il segreto per gli imprenditori della ristorazione è sempre quello di adeguare l’offerta alla domanda anche quando muta così profondamente nel corso dei decenni”.
Tra il 2007 ed il 2011 sono stati bruciati 7,2 miliardi di euro in prodotti alimentari consumati tra le mura domestiche e 1,8 miliardi di euro consumati fuori casa. Da questi dati, emersi dall’analisi della serie storica delle indagini sui consumi delle famiglie effettuate dall’Istat, parte l’analisi che la Fipe ha condotto sui consumi e le abitudini alimentari degli italiani. La perdita di potere d’acquisto ha stimolato politiche di consumo più razionali determinando anzitutto un taglio degli sprechi. Ma questo, da solo, non basta a spiegare una contrazione così netta.
I tagli da parte delle famiglie non salvano nessuna merceologia. I derivati dei cereali calano sensibilmente, il pesce lo stesso, la carne scende ma in modo meno netto. La crisi non risparmia neppure l’ortofrutta. In compenso il consumo alimentare si fa nervoso, si frammenta in tanti spuntini che riempiono il tempo tra un pasto e l’altro, anche perché i pasti principali danno sempre meno soddisfazione. Qui trovano spazio snack dolci e salati, bevande ipercaloriche. Nel 1992 pane e cereali rappresentavano il 16% della spesa alimentare delle famiglie, oggi il 18,5%. All’opposto la carne è scesa dal 25,4% al 22,1%.
Persiste solo in parte l’andamento salutistico, l’unico in grado da vent’anni di generare un leggero incremento di spesa, a dispetto comunque di un 10% della popolazione in stato di obesità e di un 35,5% in sovrappeso. Ma è corretto parlare di “salutismo”? Secondo la ricerca è necessario andare oltre i dati che vedono generato in vent’anni un incremento di spesa di appena 3 euro per il consumo di frutta e di 5 euro per quello di verdure. Gli italiani sono, sì, fedeli alla dieta mediterranea ma solo due cittadini su dieci dichiarano di essere attenti ai profili calorici e nutrizionali dell’alimentazione. E sono ancora meno coloro che si affidano ai cibi “light”.
La recessione si ripercuoterà anche sui consumi alimentari (-0,8%), anche se il fuori casa continuerà a fare da traino. Ed è proprio il pasto extra domestico a cambiare totalmente le abitudini degli italiani a tavola: è negli anni ’80 e ’90 che prende piede il pasto destrutturato. Si moltiplicano i luoghi dove mangiare velocemente. D’altra parte l’indagine calcola che il tempo medio giornaliero dedicato alla cucina non superi un’ora. Ma nel 2000 gli italiani sembrano volersi riappropriare del tempo da dedicare alla tavola con il fenomeno dello slow-food in contrapposizione al fast e di un ritrovato amore per la terra con l’acquisto dei prodotti direttamente dai contadini.
Nonostante la destrutturazione del pasto gli italiani non dimenticano che mangiare non è solo alimentarsi, immettere carburante nel proprio corpo. E’ qualcosa di più: un condensato di valori culturali, sociali, estetici, ambientali che ne fa qualcosa di speciale ed unico. Ecco che almeno a livello di immaginario, restano ancora fortemente ancorati alla tradizione. Sono aperti all’etnico, ma non troppo, amano il cibo fusion, ma non troppo, fanno attenzione alle calorie, ma non troppo. All’opposto privilegiano la tradizione, il prodotto tipico, la convivialità, il gusto, lo slow anziché il fast food.
A cura di Silvia Biasotto