Influencer marketing: UNC segnala Alitalia e Alberta Ferretti all’Antitrust
Vi piacerebbe salire su un aereo e trovare accogliervi Martina Colombari, Federica Fontana, Alessia Marcuzzi e perché no, anche Chiara Ferragni? All’indomani della firma dell’accordo commerciale tra Alberta Ferretti e Alitalia sembrava proprio che un esercito di Vip fosse stato ingaggiato dalla compagnia aerea come personale di bordo. Alberta Ferretti infatti firma le nuove divise di Alitalia e crea una nuova capsule colletion di felpe e T-shirt che sono andate letteralmente a roba tra i Vip nostrani.
Selfie di qua, selfie di là ma praticamente nessuno si è ricordato di inserire l’hashtag “#adv” per segnalare alle migliaia di follower che si trattava di una sponsorizzazione (la Ferragni per la verità è stata tra i pochi a seguire le regole).
La cosa non è passata inosservata all’Unione Nazionale Consumatori che ha inviato una nuova segnalazione contro l’influencer marketing all’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato e allo IAP (Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria).
Se tutti mettessero un riferimento alla sponsorizzazione non ci sarebbe nulla male, “il problema”, spiega Massimiliano Dona, presidente UNC, “è che questa esibizione di beni e marchi da parte delle cosiddette celebrities non è casuale, ma risponde a logiche commerciali non sempre trasparenti verso i consumatori”.
Senza l’hashtag #ad o #advertising, infatti, c’è il rischio che si tratti di messaggi pubblicitari ‘camuffati’ e pertanto idonei a generare l’impressione nei consumatori che essi rispondano a spontanei dettami del gusto o dell’esperienza vissuta mentre, in realtà, nascondono spesso un accordo commerciale con il brand pubblicizzato.
“È l’ennesima dimostrazione che servono sanzioni esemplari per assicurare il rispetto delle linee guida dell’AGCM e la digital Chart dello IAP”, afferma Dona.
Nel caso specifico, UNC contesta ai proprietari dei marchi e a chi pubblicizza i loro prodotti di non rendere palese il rapporto di committenza esistente tra di essi, nonché l’opacità sul fine promozionale delle immagini diffuse. A ciò si aggiunga la responsabilità delle piattaforme di social network sulle quali tali foto hanno circolato (nella specie, Istagram) per l’omissione di qualsiasi controllo e/o accorgimento idoneo a limitare la diffusione di simili condotte scorrette.
“Auspichiamo un celere intervento dell’Autorità e dello IAP”, conclude Massimiliano Dona, “anche perché il pubblico di riferimento di molti di questi influencer sono giovanissimi quindi ancora più vulnerabili alle lusinghe della pubblicità, soprattutto se camuffata”.