Il cibo è convivialità. E oggi, grazie alle piattaforme di social eating, è sempre più socialità. Sono centinaia, infatti, gli aspiranti chef che scelgono di organizzare cene tra le mura domestiche, prenotabili dagli utenti sul web. Qualcosa però sta cambiando. Lo scorso 17 gennaio è stato approvato alla Camera dei Deputati il disegno di legge (C.3258 d’iniziativa del deputato di Ncd Antonino Minardo) che regola l’attività di ristorazione nelle abitazioni private. Tra i punti principali: pagamenti e prenotazioni digitali, proventi annui non superiori a 5.000 euro e massimo di 500 coperti per anno solare. Prima di diventare legge passerà al vaglio del Senato, dove attualmente è in discussione (come S.2647). Dagli operatori del settore arrivano domande e critiche raccolte il 6 febbraio nel corso dell’incontro Home restaurant: quale futuro? organizzato a Milano.

homerestaurant«Da una parte è senza dubbio positivo il fatto che esista una norma che regolamenti le attività di home restaurant, in quanto permetterà a tutti gli aspiranti cuochi di sperimentare la sharing economy senza paura di andare contro le autorità» spiega Cristiano Rigon, fondatore di Gnammo, la principale piattaforma di social eating in Italia. «Di contro però, sarebbe stato più opportuno, come prima cosa, normare a livello quadro la sharing economy, negli aspetti condivisi da tutte le attività, per poi scendere, se e dove necessario, a specificare i paletti da mettere nei singoli settori». Prosegue Rigon: «L’augurio è che il Senato sappia produrre una legge sufficientemente agile e snella, rispondente ai suggerimenti UE di non promulgare norme che limitino, ma che favoriscano lo sviluppo del mercato del social eating, limando ancora i forti vincoli presenti nel testo approvato alla Camera».

«I consumatori italiani vogliono vivere in un Paese che abbracci l’innovazione e che, al contempo, sia in grado di mantenere un opportuno livello di tutele e garanzie» commenta Luisa Crisigiovanni, segretario generale dell’Associazione Altroconsumo. «Le problematiche ci sono e sono aperte – da pratiche commerciali scorrette a clausole vessatorie o a mancanza di meccanismi stabili di risoluzione delle controversie – ma non vogliamo che tutto questo blocchi lo sviluppo del fenomeno, a partire dall’imposizione di una soglia di reddito per chi fa home restaurant».

Il disegno di legge pone infatti a 5.000 euro il limite sui proventi che si potranno ottenere con le attività di home restaurant. «Tale forte limite di “profitto” significa non aver compreso il potenziale della sharing economy, ma tutelare incondizionatamente una categoria a discapito di un’altra, misurandola su piani differenti» aggiunge Cristiano Rigon. «Più adeguata sarebbe stata la proposta, rilanciata da Altroconsumo, di porre limiti sul numero di coperti, metro usato anche per i ristoranti, ma non di fatturato. In questo modo, la legge rischia di andare contro lo sviluppo, contro i suggerimenti della comunità europea, a favore di qualcuno». Sottolinea Rigon: «Grave limitazione della norma è infine il divieto di svolgere l’attività di home restaurant in abitazioni destinate anche ad affitti a breve termine. Così, per esempio, chi volesse sperimentare, anche solo una volta, l’affitto della propria casa su piattaforme come AirBnb, non potrà più cimentarsi come cuoco su Gnammo, e viceversa: si tratta di limitare la sharing economy, mettendo gli italiani in condizione di scegliere se mettere in gioco le proprie abilità culinarie o utilizzare una stanza in più disponibile in casa».

Analizzando nel dettaglio il disegno di legge, ci sono comunque aspetti positivi, come quello di acquisire i pagamenti esclusivamente online attraverso piattaforme di social eating. Gli operatori del settore sembrano d’accordo: la trasparenza è una virtù della quale non si può fare a meno. Inoltre, la tecnologia permette e facilita questi passaggi: le transazioni fatte online sono tracciabili e permettono di allontanare i “furbetti del contante”.

Altra regola è quella relativa ai requisiti degli immobili in cui si potrà svolgere l’attività di home restaurant: devono possedere i requisiti di abitabilità che già oggi hanno tutte le case in cui viviamo. Perché spaventarsi?

In tema di Haccp, ovvero il protocollo volto a prevenire le possibili contaminazioni degli alimenti, il Parlamento ha rimosso il comma delegando al Ministero della Sanità la determinazione dei requisiti cui deve rispondere il cuoco per esercitare l’home restaurant. «Ritengo la formazione fondamentale per educare alla sicurezza alimentare e diffondere una cultura oggi praticamente inesistente, soprattutto declinata in ambito domestico» dice Rigon. «Mi auguro che il Ministero sappia dare indicazioni realistiche e concrete, con questo obiettivo e non per limitare l’attività. Gnammo si impegnerà a erogare formazione in merito ai propri cook più assidui».

Riguardo l’assicurazione, il disegno di legge attuale prevede che la piattaforma verifichi che il cosiddetto utente operatore, ovvero il cuoco, abbia una copertura assicurativa, anche erogata dalla stessa piattaforma di social eating per la responsabilità civile verso terzi. Anche l’immobile dovrà essere assicurato verso terzi. «Un vincolo forte per lo sviluppo, ma ragionevole, in ottica di tutela del consumatore, anche in assenza di una vera e propria attività commerciale. Gnammo anche in questo caso è innovatore e pioniere, avendo avviato la collaborazione con Axieme, startup che sta rivoluzionando il concetto stesso di assicurazione e assicurato, con una visione social in perfetta sharing economy» chiarisce Rigon. E il fatto che l’home restaurant risulti attività autonoma occasionale? «Positivo» secondo il fondatore di Gnammo «in questo modo si possono scaricare i costi, conservando gli scontrini».

Infine c’è la Dichiarazione di avviamento attività (Scia). I lavori parlamentari hanno fatto cadere questa richiesta, troppo vincolante, trasformandola in una “comunicazione digitale” che deve essere inoltrata al comune, secondo modalità che stabilirà il Ministero dello Sviluppo Economico. Cristiano Rigon precisa: «Se questo si tradurrà in un sistema telematico, cui la piattaforma di social eating potrà assolvere per ogni nuova location dove un evento va a buon fine, sarà un passo di semplificazione e digitalizzazione della pubblica amministrazione. Se sarà solo un altro nome per una complicanza burocratica, avremo perso una sfida e con essa tanti potenziali cook di home restaurant».

 

di Marianna Castelluccio


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1 thought on “Home restaurant: cosa cambierà con il nuovo disegno di legge?

  1. Gli home restaurant e, più in generale, il social eating sono senza dubbio (insieme al car sharing e all’home sharing) la massima espressione della cosiddetta “economia della condivisione”. Bene, quindi, una disciplina che ne regolamenti l’attività. Ma, come scrivo nel mio libro dal titolo “Home restaurant e social eating. Guida all’attività di ristorazione in abitazione privata” occorre una normativa che agevoli lo sviluppo di questo fenomeno legato alla sharing economy e che, al contempo, limiti il più possibile ogni forma di concorrenza sleale nei confronti dei ristoratori tradizionali. E in questo aspetto il legislatore sta fallendo l’obiettivo. Il rischio, infatti, non è soltanto quello di bloccare lo sviluppo degli home restaurant ma anche quello di lasciare insoddisfatti i professionisti del settore.
    http://www.lavoroimpresa.com/lavoro-imprenditoria/art/1089-home-restaurant-social-eating-guida-attivit%C3%A0-ristorazione-abitazione-p

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