Barilla, leader nella produzione della pasta nel mondo, taglia del 35% le importazioni di grano duro dal Canada. Lo ha comunicato il direttore degli acquisti di Barilla, Emilio Ferrari, che ha partecipato a Toronto al Canadian Global Crops Symposium. Il motivo di questa decisione starebbe nelle crescenti preoccupazioni dei consumatori italiani per la presenza di tracce di glifosato nella materia prima proveniente da oltreoceano.

E così, spiega Ferrari al giornale ipolitics, “al momento Barilla non ha firmato nessun contratto per l’importazione del grano dal Canada”, specificando che sebbene “sia una sorta di suicidio dire che la pasta è avvelenata dal glifosato, questo è l’approccio che abbiamo ora. È molto difficile cambiare l’opinione pubblica”, anche se le sue convinzioni non sono basate sulla scienza.

Il sospetto, per i vertici di Barilla è che i produttori italiani abbiano cavalcato la notizia della contaminazione da glifosato per bloccare le importazioni di grano dall’estero e favorire la produzione nazionale che però non è sufficiente a coprire le esigenze di produzione.

Ad ogni modo, la notizia dello stop alle importazioni dal Canada rappresenta una vittoria importante per l’universo dei consumatori. È la prima volta, infatti, che le logiche dell’impresa si piegano alla volontà dell’opinione pubblica costringendo ad un cambio di rotta anche in assenza di obblighi di legge.

Solo due anni fa”, commenta Il Salvagente, il primo ad aver effettuato il test che dimostrò la presenza di residui nell’alimento principe del made in Italy (e in molti dei marchi leader), “nessuno sembrava interessato a controllare questo pesticida. C’è voluto più di un milione di firme per convincere Bruxelles a discuterne. E seppure la soluzione scelta dalla Ue (autorizzare per altri 5 anni l’uso del pesticida in Europa) ha scontentato i consumatori, il risultato è arrivato”.

“L’etichetta di origine obbligatoria e la costatazione che il grano canadese, irrorato di glifosato prima del raccolto per favorirne la maturazione (il “preharvest”), finiva per essere frequentemente contaminato dal pesticida (nel 30% dei campioni controllati), hanno fatto sì che i consumatori potessero scegliere e le aziende fossero costrette a correre ai ripari”.


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