“La tutela del risparmio richiede in primo luogo politiche economiche volte ad assicurare il mantenimento di condizioni finanziarie equilibrate, a stabilizzare le fluttuazioni cicliche dell’economia, a migliorarne il potenziale di crescita”. Lo dichiara Ignazio Visco, nel suo intervento alla Giornata Mondiale del Risparmio, e ribadisce che “La vigilanza sugli intermediari finanziari vi contribuisce; opera per limitare gli episodi di crisi e le loro ripercussioni sull’economia, ma non può eliminarli”.

Nel panorama nazionale, alla lunga recessione, si sono aggiunti fenomeni di cattiva gestione del sistema bancario che hanno prodotto gravi conseguenze a livello locale.

Gli interventi pubblici di sostegno al settore finanziario sono stati di ammontare molto più basso che negli altri principali paesi europei. Secondo gli ultimi dati rilasciati da Eurostat, il loro impatto sul debito pubblico ha raggiunto un massimo dell’1,3% del prodotto interno lordo alla fine del 2017; in Francia, Spagna, Germania e nei Paesi Bassi i picchi raggiunti negli anni di crisi sono stati di circa il 4, il 5, il 12 e il 13%.

L’introduzione delle nuove regole europee sulla gestione delle crisi, motivata anche dalla volontà di evitare nuovi interventi pubblici a sostegno delle banche, è avvenuta senza la necessaria gradualità e ha finito per rendere macchinosa la gestione dei casi di difficoltà. In Italia, in particolare, ha reso arduo o impossibile il ricorso agli strumenti utilizzati in passato, talora anche per l’interpretazione delle nuove regole adottata dalle istituzioni europee”, spiega il Governatore di Bankitalia.

Per quanto riguarda l’andamento dello spread, Visco evidenzia come “dalla metà di maggio i rendimenti dei titoli di Stato italiani sono progressivamente aumentati; quelli sulle scadenze decennali hanno toccato il 3,7%, il massimo dal 2014; il differenziale rispetto ai corrispondenti titoli tedeschi oscilla oggi attorno ai 300 punti base, contro una media di circa 130 registrata nei primi quattro mesi di quest’anno”.

Le conseguenze di un prolungato, ampio rialzo dei rendimenti dei titoli di Stato possono essere gravi. “Il loro incremento deprime il valore dei risparmi accumulati dalle famiglie e può determinare un peggioramento delle prospettive di crescita economica. Premi elevati a copertura del rischio sovrano rendono più difficile il controllo della dinamica del rapporto tra il debito pubblico e il prodotto”.

Direttamente o indirettamente l’aumento dello spread ricade sulle famiglie italiane. “Non solo esse detengono titoli pubblici per un valore nominale di quasi 100 miliardi, ma all’attivo degli intermediari a cui esse affidano i loro risparmi – nella forma di depositi bancari, di polizze assicurative, di quote di fondi pensione, di risparmio gestito – vi sono titoli pubblici per circa 850 miliardi”.

Il rialzo dei tassi di interesse sui titoli di Stato si riflette negativamente anche sul bilancio pubblico. “Qualora non venisse riassorbito, l’incremento fin qui registrato provocherebbe, già dal prossimo anno, maggiori spese per interessi per circa 0,3 punti percentuali del prodotto (oltre 5 miliardi). L’aggravio salirebbe a mezzo punto nel 2020 e a 0,7 punti nel 2021. Ciò accrescerebbe l’avanzo primario necessario anche solo a stabilizzare il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo”.

Dalla fine di maggio il costo che le banche sopportano per raccogliere fondi sotto forma di obbligazioni – approssimato con i rendimenti dei titoli sul mercato secondario – è più che raddoppiato; entro il 2020 giungeranno a scadenza obbligazioni bancarie per 110 miliardi, circa il 40 per cento di quelle attualmente in circolazione. L’aumento del rischio sovrano si è riflesso anche sulle quotazioni azionarie delle banche che, dopo essere cresciute del 13 per cento tra l’inizio dell’anno e la metà di maggio, si sono successivamente ridotte del 35 per cento.

Questi andamenti finiscono per incidere negativamente sul costo e sulla disponibilità di credito per le famiglie e le imprese. Ad attenuare finora la trasmissione delle tensioni ai prestiti bancari hanno contribuito la più elevata capitalizzazione degli intermediari e la loro più stabile struttura di finanziamento.


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