Sanità a pagamento, Censis: quasi 20 mln costretti a pagare per curarsi
Li chiamano i “forzati della sanità a pagamento”. Sono quasi venti milioni di italiani che sono stati costretti, nell’ultimo anno, a pagare di tasca propria per curarsi. Per ottenere prestazioni essenziali prescritte dal medico ma che non hanno ottenuto nella sanità pubblica, per liste di attesa troppo lunghe o bloccate. Non è consumismo sanitario: la prescrizione medica c’è ma si blocca davanti alle attese e alla difficoltà di accedere al servizio sanitario nazionale. È quanto denuncia il Rapporto Rbm-Censis presentato oggi al «Welfare Day 2019».
Sono 19,6 milioni gli italiani che nell’ultimo anno, per almeno una prestazione sanitaria, hanno provato a prenotare nel Servizio sanitario nazionale e poi, constatati i lunghi tempi d’attesa, hanno dovuto rivolgersi alla sanità a pagamento, privata o intramoenia. Le liste d’attesa sono un calvario: si va dai 128 giorni per una visita endocrinologica ai 97 giorni per una mammografia e ai 65 giorni per una visita oncologica. Il 35,8% dei cittadini le ha trovate chiuse almeno una volta. E così lievita la spesa privata che sale a 37,3 miliardi di euro: +7,2% dal 2014 (-0,3% quella pubblica).
Le prestazioni incluse nei Livelli essenziali di assistenza e prescritte dal medico non vengono erogate in tempi adeguati e così in 28 casi su 100 i cittadini, avuta notizia di tempi d’attesa eccessivi o trovate le liste chiuse, hanno scelto di effettuare le prestazioni a pagamento (il 22,6% nel Nord-Ovest, il 20,7% nel Nord-Est, il 31,6% al Centro e il 33,2% al Sud). L’indagine, fatta su un campioni di 10 mila cittadini maggiorenni, evidenzia che passano nella sanità a pagamento il 36,7% dei tentativi falliti di prenotare visite specialistiche (il 39,2% al Centro e il 42,4% al Sud) e il 24,8% dei tentativi di prenotazione di accertamenti diagnostici (il 30,7% al Centro e il 29,2% al Sud).
Il muro è rappresentato dalle liste d’attesa. In media si aspettano, dice il Censis, 128 giorni d’attesa per una visita endocrinologica, 114 giorni per una diabetologica, 65 giorni per una oncologica, 58 giorni per una neurologica, 57 giorni per una gastroenterologica, 56 giorni per una visita oculistica. Tra gli accertamenti diagnostici, servono in media 97 giorni d’attesa per effettuare una mammografia, 75 giorni per una colonscopia, 71 giorni per una densitometria ossea, 49 giorni per una gastroscopia. E nell’ultimo anno il 35,8% degli italiani non è riuscito a prenotare, almeno una volta, una prestazione nel sistema pubblico perché ha trovato le liste d’attesa chiuse. “Ecco la insormontabile barriera all’accesso al sistema pubblico, che costringe a rivolgersi al privato anche per effettuare prestazioni necessarie prescritte dai medici”, evidenzia il Censis.
E così per ottenere cure, accertamenti, visite e analisi, tutti, chi più chi meno, devono fare surf fra pubblico e privato. Ci sono 13,3 milioni di persone che a causa di una patologia hanno fatto visite specialistiche e accertamenti diagnostici sia nel pubblico che nel privato, per verificare la diagnosi ricevuta (una caccia alla seconda opinione). Ci sono poi le necessità urgenti, per cui non si può aspettare. E allora nell’ultimo anno il 44% degli italiani si è rivolto direttamente al privato per ottenere almeno una prestazione sanitaria, senza nemmeno tentare di prenotare nel sistema pubblico, spiega il Censis. È capitato al 38% delle persone con redditi bassi e al 50,7% di chi ha redditi alti. “Ancora una volta: tutti, al di là della propria condizione economica, sono chiamati a mettere mano al portafoglio per accedere ai servizi sanitari necessari”.
Finiscono per passare alla spesa privata tutte quelle prestazioni prescritte dal medico che i cittadini non sono riusciti a prenotare nel pubblico. Fra quelle effettuate direttamente nel privato, aggiunge il Censis, hanno una prescrizione medica il 92,5% delle visite oncologiche, l’88,3% di quelle di chirurgia vascolare, l’83,6% degli accertamenti diagnostici, l’82,4% delle prime visite cardiologiche con Ecg.
Notizia pubblicata il 13/06/2019 ore 23.30
Dati preoccupanti..ma saranno veri? chi ha interesse a far credere agli italiani che il servizio sanitario nazionale non è più affidabile e che magari conviene avere una assicurazione che ti copre le eventuali spese in caso di malattia? la fonte è credibile? la RBM ha qualche interesse nelle assicurazioni private nel settore della sanità?
Magari qualche risposta a questi quesiti si potrebbero dare leggendo e riportando altri autorevoli interventi nel merito della questione (esempio: editoriale di Fassari del GIMBE sul Quotidiano Sanità – oppure la presa di posizione del Prof. Nino Cartabellotta).