La legge italiana che obbliga a indicare lo stabilimento di produzione in etichetta è inapplicabile. È quanto scrive il Tribunale di Roma, che ha respinto una querela per diffamazione fatta contro Dario Dongo, direttore del sito di informazione alimentare Great Italian Food Trade. Il decreto legislativo in questione è il 145/2017 e prevede l’obbligo di indicare nell’etichetta degli alimenti la sede e l’indirizzo dello stabilimento di produzione o di confezionamento. Il provvedimento è entrato in vigore nell’aprile 2018.

La diciottesima sezione civile del tribunale di Roma, informa La Repubblica, “ha respinto il ricorso dell’ex viceministro Andrea Olivero nei confronti di Dario Dongo, direttore del sito di informazione alimentare Great Italian Food Trade ed esperto di diritto alimentare. Dongo era stato querelato per diffamazione in un articolo in cui spiegava proprio i motivi per cui la legge è, di fatto, inapplicabile. “Pur con affermazioni colorite e veementi”, scrive il giudice, il giurista ha scritto la verità”.

La notizia viene ricordata e ricostruita da Dongo sul proprio sito. Scrive l’esperto: “La sede dello stabilimento in etichetta dei prodotti alimentari – come chi scrive ha sempre sostenuto e tuttora ribadisce – è un Must per la salvaguardia e la valorizzazione del Made in Italy a livello planetario. E deve venire accompagnata da un generoso programma di educazione dei consumAttori, in Italia e nel mondo. Il governo Gentiloni però ha deliberatamente violato le regole europee che presiedono all’adozione delle norme tecniche nazionali”.

Il problema di fondo è rappresentato dal fatto che su questa materia la Ue si è pronunciata con un Regolamento e che la legge italiana andava notificata in modo corretto. Il decreto legislativo 145/2017, scrive il Tribunale, “risulta carente del suo iter di perfezionamento e di efficacia perché non è stato debitamente notificato alla Commissione Europea”. Per l’introduzione della legge sull’obbligatorietà dell’indicazione in etichetta dello stabilimento di produzione serviva la notifica alla Commissione europea, in modo che questa potesse garantire che la legge non si ponesse in contrasto con la normativa comunitaria. La notifica andava fatta, perché la Ue si era appunto pronunciata con un regolamento in materia (Regolamento UE n. 1169/2011) ma in sostanza è stata fatta male. La prima notifica è stata ritenuta illegittima, la seconda è stata dichiarata irricevibile.

Sul sito Great Italian Food Trade vengono riportati estratti dell’ordinanza del Tribunale. “Sulla base della interpretazione in più occasioni fornita dalla Corte di Giustizia, l’inadempimento dell’obbligo di notifica di una regola tecnica, per il conseguente contrasto alla normativa della Unione, comporta la inapplicabilità della normativa interna e la non opponibilità ai privati, con la conseguenza che questi ultimi possono avvalersi del vizio procedurale – la mancata notifica – per eccepire l’inapplicabilità delle regole tecniche interne nei loro confronti innanzi ai giudici nazionali, ai quali compete la disapplicazione di una regola tecnica nazionale che non sia stata notificata conformemente alla direttiva citata”.

Il Tribunale ha respinto l’accusa di diffamazione. “‘Il contenuto dell’articolo per cui è causa, pur con le espressioni colorite e veementi tipiche del mezzo espressivo utilizzato e comprensibili tenuto conto del profilo personale e professionale dell’autore”, scrive il Tribunale, “non riveste carattere diffamatorio e offensivo, stante l’interesse pubblico della informazione e la sostanziale verità della informazione propalata, considerato il difetto dell’iter procedurale del D. lgs. 145/2017, per la mancata notifica, con le conseguenze indicate dal punto di vista operativo, che ne minano la obbligatorietà’. Sulla sede dello stabilimento e l’origine della materie prime, conclude Dario Dongo, “purtroppo è tutto da rifare”.

 

Notizia pubblicata il 10/01/2019 ore 17.27


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