L’Italia ha tutte le carte in regola per fare da capofila dell’economia circolare in tutta Europa. Legambiente è andata a raccontarlo direttamente in Europa, portando a Bruxelles l’Atlante dei campioni dell’economia circolare #circulareconomy made in Italy, che raccoglie 107 esperienze di economia circolare, quella che realizza un processo di rigenerazione per cui i rifiuti di qualcuno diventano risorse per qualcun altro. Serve “un accordo ambizioso tra Parlamento e Consiglio, affinché la riforma della politica europea dei rifiuti divenga al più presto realtà”, dice l’associazione.

Quelli che prima erano scarti, diventano nuova materia prima per altri cicli produttivi e nuovi prodotti ben progettati entrano nella rivoluzione sostenibile che l’economia circolare vuole portare a modello”, si legge nel documento, che sottolinea l’importanza, in questi processi, del recupero e del riutilizzo di materie prime e prodotti, insieme alle misure volte alla riduzione dei costi di produzione, alla minore dipendenza dalle materie prime vergini, alla riduzione dell’inquinamento che deriva dai rifiuti e dalle emissioni. Il documento contiene 107 esperienze fra  aziende, cooperative, start-up, associazioni, realtà territoriali e Comuni che hanno già investito su un nuovo modello produttivo e riciclano materie prime seconde che fino a oggi finivano in discarica. Qualche esempio? C’è chi – racconta Legambiente – recupera circa 250mila tonnellate di pneumatici fuori uso trasformandoli in gomma riciclata da usare per superfici sportive o isolanti acustici, come fa Ecopneus. Chi ricicla i pannolini usa e getta dando nuova vita a materie prime seconde di elevata qualità come fa Fater, che ha realizzato a Spresiano (TV) il primo impianto in Italia per il riciclo di pannolini. C’è il Mater-Bi, prodotto di punta di Novamont, l’innovativa bioplastica con cui si realizzano i prodotti biodegradabili e compostabili.

Sostiene Legambiente: “Un mese fa l’Europarlamento ha approvato a larga maggioranza il cosiddetto pacchetto sull’economia circolare, adottando un testo che migliora la proposta del 2015 fatta dalla Commissione Europea, in particolare per quanto riguarda i target di riciclaggio al 2030 innalzati al 70% per i rifiuti urbani e all’80% per gli imballaggi. Ora tocca al Consiglio intraprendere la strada di una politica europea finalmente in grado di trasformare l’emergenza rifiuti in una grande opportunità economica e occupazionale”. In tutto questo, l’Italia è chiamata a svolgere un ruolo importante. Dice il Direttore generale di Legambiente Stefano Ciafani: “È fondamentale che in sede di Consiglio l’Italia sostenga una riforma ambiziosa della politica comune dei rifiuti. Serve adottare immediatamente nuovi obiettivi europei di riprogettazione dei prodotti e di prevenzione, riuso e riciclo dei rifiuti per ridurre gradualmente il ricorso al recupero energetico, per archiviare lo smaltimento in discarica e per essere meno dipendenti dalle importazioni di materie prime”.

Le esperienze raccontate dall’associazione – consultabili anche sulla mappa interattiva sul portale della campagna itinerante di Legambiente e Ferrovie dello Stato www.trenoverde.it – portano avanti gestioni sostenibili dei rifiuti fondate su riciclaggio, raccolte differenziate domiciliari, tariffazione puntuale, riuso, prevenzione e innovazione industriale. Il 33% lavora su scala nazionale, il 41% su scala regionale o locale, il 24% a livello internazionale. I tre settori su cui operano principalmente sono i rifiuti nel 62% dei casi, il riuso e il riutilizzo di beni (31%) e il sociale (27%), l’agricoltura (20%), l’industria (19%), il design (16%) e start up e ricerca (15%). Il 65% contribuisce all’economia circolare riducendo l’utilizzo di materie prime vergini, il 53% previene la produzione di rifiuti e il 48% risparmia risorse (acqua, energia e materie prime) nella sua attività. Il 43% produce materie prime seconde, il 34% le utilizza. Il 38% ricicla rifiuti in altri cicli produttivi, e il 26% nello stesso. Il 36% svolge attività di riuso e riutilizzo dei prodotti, evitando che diventino rifiuti. Infine, rispetto ad ambiti più specifici, il 14% dei campioni lavora sullo spreco alimentare, il 13% produce biometano da scarti agricoli o zootecnici o da frazione organica dei rifiuti urbani.


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