Copyright online, Google lancia campagna stampa. La reazione dei giornalisti
“Oggi più che mai è importante conoscere tutti i punti di vista su una notizia”. Così Google interviene a tutta pagina sui quotidiani nazionali rilanciando il dibattito sulla riforma europea del copyright e sul diritto d’autore online, approvata dal Parlamento europeo lo scorso settembre ma non ancora definitiva. Un’inserzione che ha immediatamente sollevato la reazione dell’Ordine dei Giornalisti: “La circolazione delle informazioni nel mondo non può essere una discrezionalità privata e proprietaria”. Quello che viene denunciato dai giornalisti è la “dittatura dell’algoritmo”. Sul tavolo ci sono la riforma del diritto d’autore online, il valore dell’informazione, il ruolo degli algoritmi proprietari nella selezione delle notizie.
Un passo indietro. Google ha lanciato una campagna informativa sulle pagine dei quotidiani. In una pagina intera, pubblicata sul Corriere della Sera, si legge: “Abbiamo bisogno di prospettive differenti per avere una visione d’insieme e per capire meglio il mondo in cui viviamo. L’Articolo 11 della nuova direttiva sul copyright dell’Unione Europea mira a proteggere il lavoro della stampa. E questo è un obiettivo che condividiamo pienamente. Quello che ci preoccupa, tuttavia, è che alcuni elementi di questa legislazione potrebbero ridurre lo spettro e il numero di notizie che si trovano quando si ricerca online”. L’opinione di Google, prosegue la pagina, è che “serve una soluzione che consenta agli editori, piccoli e grandi, di scegliere liberamente e apertamente come i lettori possono accedere ai loro contenuti. E che consenta a tutti noi di continuare a conoscere i diversi punti di vista su una notizia”.
La mossa non è sfuggita all’Ordine dei Giornalisti, che rilancia sostenendo che la rotta di Google va corretta perché sia “insieme per la libertà” e non “insieme per il copyright”. Questo significa anche possibilità di controllare gli algoritmi, veri decisori della selezione delle notizie. Un’ampia argomentazione è contenuta in un post pubblicato sul sito dell’Ordine e firmato da Michele Mezza. Scrive Mezza: “La campagna scatenata da Google su tutti i giornali in Europa per la modifica della legge comunitaria sul copyright ha l’aggravante, oltre alla brutale pressione che esercita sugli editori, di cogliere un aspetto oggettivamente debole di quella legge. Avere anche ragione per chi vuole usare l’occasionale giustezza delle sue osservazioni per ribadire un potere coercitivo è davvero insopportabile. La legge che disciplina l’accesso ai contenuti della stampa è infatti inadeguata e del tutto datata”.
La pubblicità nel settore è tutta raccolta dai giganti. Si legge nel post che “il 75 % della pubblicità digitale è oggi bottino di soli 3 soggetti globali che nulla hanno a che fare con il mercato editoriale professionale. Il 87 % di ogni query, ossia ricerca on line, viene oggi canalizzata dallo stesso Google. Non è monopolio ma vera e propria dittatura di un solo algoritmo. Un algoritmo che proprio Google stesso ci fa intendere nella sua minacciosa pagina di pubblicità editoriale che ormai incombe quasi ogni giorno sui quotidiani, è in grado di mutare la sua griglia selettiva, autorizzando o inibendo l’accesso a intere filiere di informazioni. Dunque questa dittatura va contenuta e risolta, come giustamente sollecita il presidente dell’Ordine dei Giornalisti Carlo Verna, in quella che al momento è l’unica reazione del mondo del giornalismo quell’irruzione arrogante di Google”.
E allora la circolarità della informazione rivendicata da Google “deve riguardare tutti i contenuti: gli articoli dei giornali, le notizie delle agenzie, le opere audiovisive e musicali, ma anche gli algoritmi e le API delle piattaforme. Tutta la catena del valore della comunicazione, nella società della comunicazione, deve essere parimenti accessibile. Dunque solo un’ipocrisia proprietaria permette a Google di mistificare la domanda di libertà, limitandola solo all’oggetto del sistema dell’informazione che sono appunto le notizie”. E allora, prosegue Mezza, il pluralismo delle informazioni deve partire dagli algoritmi stessi che le organizzano: “Per questo sarebbe civile e trasparente introdurre un principio di reciprocità: chi copia e fa circolare contenuti, traendone per altro profitto inimmaginabili, deve rendere accessibile e disponibile per i titolari dei quei contenuti i propri algoritmi e le proprie piattaforme, per poterli riprogrammare ed innescare nuovi modelli di servizi. Google accetta questa sfida: libertà e pluralismo per tutti i linguaggi dell’informazione, dagli algoritmi alle news ?”.