Sospendere il trattato di Schengen potrebbe costare all’Italia fino a 10 miliardi l’anno. Mentre l’Europa si barrica dietro muri e fili spinati, controlli alle frontiere e chiusure di ogni tipo, qualcuno sta già calcolando i danni non solo politici, sociali e morali, ma anche economici che l’eventuale sospensione dell’accordo di libera circolazione che attualmente coinvolge 26 paesi (22 dell’UE e 4 non UE), vero pilastro dell’Unione, potrebbe portare in Italia. A farlo è la Cgia di Mestre che prende spunto da due studi, uno francese e uno tedesco.
schengenLa Cgia ha ipotizzato due scenari: uno con controlli meno invasivi, l’altro con un’attività della polizia di frontiera più stringente che si tradurrebbero in un aumento dei tempi d’attesa per coloro che devono attraversare i nostri confini. Chi sarebbero i primi colpiti da questa misura? I turisti giornalieri e del fine settimana, che potrebbero rinunciare ai giorni di vacanza in Italia, i lavoratori frontalieri che subirebbero ogni giorno il controllo dei documenti e gli autotrasportatori che vedrebbero allungarsi notevolmente i tempi di ingresso e di uscita, con un conseguente aumento del prezzo delle merci importate in Italia. La somma delle perdite economiche ricollegabili a ognuna di queste attività oscilla fra i cinque e i dieci miliardi l’anno.
“Anche se fosse temporaneo, l’eventuale ripristino delle frontiere – segnala il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo –  ci renderebbe tutti meno europei, con ripercussioni negative in campo economico sul fronte dell’export che, ricordo, solo nell’ultimo anno ci ha garantito un saldo commerciale di 45 miliardi di euro”.
L’analisi prende spunto dalla pubblicazione di due studi: lo studio francese “The economic cost of rolling back Schengen” redatto da “France Stratégie” consultivo del governo francese e lo studio tedesco “Abkehr vom Schengen-Abkommen” realizzato dal centro studi Prognos AG per conto di Bertelmann Stiftung. Sono tre gli effetti considerati nell’eventuale reintroduzione dei controlli alle frontiere: la contrazione della spesa dei turisti dell’area Schengen in Italia, il maggior costo subito dai lavoratori frontalieri italiani che si recano in Svizzera e la mancata crescita legata a un aumento dei prezzi delle merci importate.
I numeri? La minore spesa dei turisti in Italia, spiega la Cgia Mestre, potrebbe oscillare tra il 4 e l’8 per cento e comporterebbe  un costo annuo variabile tra i 233 e i 465 milioni di euro all’anno. Per i lavoratori frontalieri, l’introduzione dei controlli alla dogana potrebbe comportare dei ritardi nell’attraversamento  del confine tra i 10 e i 20 minuti al giorno. Queste code potrebbero dar luogo ad un costo annuo tra i 53 e 230 milioni all’anno. Con nuovi controlli sulle merci, infine, si allungherebbero i tempi per attraversare le frontiere con Francia, Austria, Svizzera e Slovenia: la stima è che questo potrebbe portare a una perdita media annuale del Pil tra i 4,8 e i 9,7 miliardi di euro all’anno. “L’impatto complessivo di questi tre fattori – spiega la Cgia Mestre – potrà avere un effetto compreso tra lo 0,3 e lo 0,6 punti percentuali del Pil, spaziando da 5,1 a 10,3 miliardi di euro all’anno”. “Oltre ad essere una vera e propria emergenza umanitaria – dice il segretario  della CGIA Renato Mason – la crisi dei profughi mediorientali che chiedono di entrare in Europa rischia di minare quei principi, come la libera circolazione delle merci e delle persone, che da 20 anni ci hanno permesso di superare quelle barriere che nel secolo scorso erano state al centro di due guerre mondiali”.

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