Avere un figlio, in questo Paese, spesso per le donne vuol dire non tornare a lavoro. Si stima siano 27 su 100, quasi un terzo, le donne che dopo il primo figlio non tornano più al proprio posto di lavoro. Per incoraggiare le neomamme a rimettersi in gioco è arrivata la proposta “bonus bebè” del Governo Monti: 300 euro al mese, per un massimo di sei mesi, alle mamme che rientrano a lavoro dopo la maternità, prima che il proprio figlio compi un anno di vita. Niente di più che un contributo alle spese sostenute dai genitori per l’asilo nido o la baby sitter, che sono comunque molto più elevate.
Ma è, soprattutto, un modo per evitare che tutte le neo mamme si mettano in congedo parentale facoltativo, fino al primo anno del bambino, con maggiori costi per lo Stato. Fin qui tutto ok, anzi quasi una proposta nordeuropea. Peccato che già facendo i primi conti ci si accorge che questo bonus sarà disponibile soltanto per 3.300 mamme all’anno. E’ quanto si legge in un articolo del Salvagente (in edicola da giovedì, 6 dicembre) secondo cui il Governo ha previsto, per questa misura, una cifra di 20 milioni di euro da dividere in 3 anni.
“Se tutte le richiedenti facessero domanda per l’intero contributo (cioè per 6 mesi) – si legge nell’articolo – questi soldi basterebbero per 11.000 mamme, cioè 3.300 all’anno, contro una media di circa 300.000 donne che ogni anno usufruiscono dei congedi obbligatori”. “E se il contributo medio richiesto fosse di 3 mesi, il numero di mamme che potrebbero accedere al bonus bebè sarebbe comunque troppo basso (6.600 all’anno)”.
Ci troviamo di fronte ad un’ennesima prova di “errori tecnici” o le risorse da destinare alle neomamme, in questo Paese, sono davvero difficili da trovare? Federconsumatori ricorda che crescere un figlio ha un significativo peso economico: secondo lo studio dell’Osservatorio Nazionale Federconsumatori aggiornato anche nel 2012, i costi da sostenere per un bambino nel primo anno di vita possono andare da 6.350 a 13.844 euro.
“Cifre di fronte alle quali il nuovo bonus bebè allo studio del Governo risulta del tutto insufficiente ed inadeguato – scrive in una nota l’Associazione che denuncia un altro aspetto critico del contributo: “un bonus che, a differenza di quello previsto in precedenza, rivela la chiara intenzione di aiutare esclusivamente le mamme-lavoratrici, incentivando il rientro al lavoro, non sostenendo, quindi, la possibilità di usufruire dei congedi parentali (sia per madre che per padre) e considerando la maternità come una “breve pausa”. Escluse dalla platea rimangono le mamme senza lavoro e quelle che, proprio a causa della gravidanza, lo hanno perso. “Senz’altro è apprezzabile l’intenzione di rilanciare questo importante sostegno per i genitori, ma sicuramente si può fare molto di più”.
E poi, tornando alla semplice “economia casalinga”, un bonus di 300 euro non copre nemmeno la metà dei costi minimi mensili da sostenere per un bambino nel primo anno di vita. soprattutto se si aggiungono le spese di baby sitter o asilo nido, il cui ricorso è necessario per accedere al bonus. Una baby sitter, infatti, costa mediamente da 750 a 1.000 euro al mese, un asilo nido privato circa 350 euro al mese, uno pubblico (sempre che si rientri nelle condizioni per usufruirne) 167 euro al mese. “A fronte di costi simili – conclude Federconsumatori – è fondamentale studiare provvedimenti in grado di incidere veramente su una questione così delicata e rilevante, che tocca da vicino il futuro del Paese”.


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