Aumenta la popolazione. Aumentano gli anziani. Aumenta la povertà. Gli anziani del futuro avranno pensioni più basse e questo inciderà sul mercato privato di cura. Una situazione che potrà compromettere seriamente il futuro dell’assistenza domiciliare degli anziani non autosufficienti nel nostro Paese. Con conseguenze gravissime per milioni di famiglie. E’ questa la cruda conclusione della ricerca Auser e Spi Cgil “Problemi e prospettiva della domiciliarità. Il diritto di invecchiare a casa propria” realizzata da Claudio Falasca, pubblicata da Liberetà .

“Intervenire sulla “domiciliarità” è una strada obbligata – ha detto il Presidente Auser Enzo Costa – Invecchiare a casa propria è un diritto che va garantito con una rete efficace di servizi sul territorio nel rispetto della persona in tutto l’arco della sua vita.” “Siamo in presenza di profonde trasformazioni nella nostra società, prima fra tutte quella dell’invecchiamento della popolazione – ha aggiunto il Segretario generale dello Spi-Cgil Ivan Pedretti – Quella della non autosufficienza è una vera e propria emergenza nazionale che riguarda da vicino non solo tanti anziani ma anche e soprattutto le loro famiglie. È uno dei grandi temi del nostro tempo, che la politica finora ha fatto però finta di non vedere. Serve una legge nazionale, servono risorse e serve ripensare il nostro sistema di welfare che altrimenti rischia così di non reggere”.

Nel 2045 si prevede che le persone con più di 65 anni saranno un terzo della popolazione, il 33,7%. La popolazione totale diminuirà del 3,5% arrivando a 58milioni e 600mila e per il 78% sarà concentrata nelle città. Viviamo di più ma aumentano anche le persone non autosufficienti. L’analisi delle previsioni ci dicono che è da prevedere un aumento di 300mila non autosufficienti al 2025, 1.250.000 al 2045 e 850.000 nel 2065.

Famiglie sempre meno in grado di prendersi cura degli anziani anche perché la struttura della famiglia è cambiata. Le donne, considerate pilastro dell’assistenza familiare, lavorano sempre di più . Oggi il tasso di occupazione in Italia è di circa il 48,1% ma se si dovesse raggiungere la media europea del 61.5% il lavoro di cura in ambito familiare subirebbe un drastico ridimensionamento di circa 2milioni e 500mila donne.

E se in famiglia nessuno può aiutare gli anziani non autosufficienti, sempre più italiani non possono ricorrere ai soldi. Una ricerca Censis del 2015 sottolinea che oltre 561mila famiglie hanno dovuto utilizzare tutti i propri risparmi o vendere l’abitazione (anche in nuda proprietà) o indebitarsi in altre forme per far fronte ai costi dell’assistenza ad un familiare non autosufficiente.

L’attuale situazione di precarietà del lavoro e di basse pensioni di domani pone un futuro incerto per le nuove generazioni. La ricerca Auser e Spi Cgil parla di “bomba a orologeria”. I lavoratori precari di oggi molto difficilmente avranno pensioni adeguate a far fronte ai rischi connessi alla non autosufficienza. Tanto più se viene ridimensionato l’intervento pubblico nella cura di lunga durata (LTC). A destare particolare preoccupazione sono i NEET – giovani tra i 15 e i 34 anni che non lavorano e non studiano – che dal 23,9% del 2012 sono aumentati al 24,4%, la percentuale più elevata rispetto agli altri paesi europei

I servizi domiciliari di cura sono uno dei pilastri su cui si fonda la LTC (assistenza di lunga durata) in Italia. Purtroppo percentuali troppo basse di anziani che riescono a beneficiare nel nostro Paese di servizi di assistenza nei diversi livelli di non autosufficienza. Nel quinquennio 2009-2013 in Italia gli anziani sono aumentati dell’8,6% passando da 11.974.530 a oltre 13 milioni.

Negli ultimi anni gli italiani hanno fatto sempre più ricorso alla cura informale e alle badanti, soluzione che ha grandi incognite in tema di sostenibilità economica. I costi di questo welfare “informale” grava sui bilanci delle famiglie, a fronte di una spesa media mensile di 667 solo il 31,4% riesce a ricevere una qualche forma di sostegno pubblico, rappresentato perlopiù dall’Accompagno (19,9%). Per quanto lo scenario di qui ai prossimi anni appaia pieno di incertezze si stima comunque che l’evoluzione della domanda di “badanti”, mantenendo stabile il tasso di utilizzo dei servizi da parte delle famiglie, porterà il numero degli attuali collaboratori da 1 milione 655 mila a 2 milioni 151 nel 2030, determinando un fabbisogno aggiuntivo complessivo di circa 500 mila unità. È questo il dato che emerge dalla ricerca Fondazione CENSIS e ISMU.


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