Amnesty lancia “Stop alla tortura”: è ancora molto diffusa
Dopo 30 anni dall’adozione della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, i governi di ogni parte del mondo non hanno rispettato gli impegni presi per porre fine al reato di tortura, che viene perpetrato nell’ombra ed è ancora molto diffuso. Solo quest’anno, la tortura viene praticata in 79 paesi, e negli ultimi cinque anni sono stati documentati casi di tortura in 141 paesi del mondo. I governi hanno vietato la tortura per legge ma l’hanno permessa nella pratica: per questo Amnesty International ha lanciato la nuova campagna “Stop alla tortura”.
I governi, denuncia l’associazione, hanno pestato, frustato, soffocato, semiannegato, stuprato, privato del sonno nel buio delle carceri e nelle stanze degli interrogatori; hanno colpito presunti criminali comuni, persone sospettate di costituire una minaccia alla sicurezza nazionale, dissidenti, rivali politici per estorcere loro confessioni, per punirli, intimorirli, per privarli della loro dignità. Sono ventisette, terribili, le pratiche di tortura utilizzate solo lo scorso anno e segnalate da Amnesty: pestaggi, scariche elettriche, isolamento prolungato, soffocamento e semiannegamento (“wateboarding”), privazione del sonno, stupro o minaccia di stupro, somministrazione forzata di droga, privazione di acqua e cibo,violenze di ogni tipo. La nuova campagna lanciata dall’associazione “si concentra su tutti i contesti di custodia statale – come i sistemi ordinari di giustizia penale; persone trattenute da forze militari e di polizia, dalle forze speciali, dai servizi segreti; leggi, regolamenti e disposizioni di emergenza; luoghi di detenzione non ufficiali o segreti, dove il rischio di tortura aumenta in modo significativo”.
“La vietano per legge, la facilitano nella pratica. Ecco la doppia faccia dei governi quando si tratta della tortura – ha dichiarato Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia, durante la conferenza stampa di lancio della campagna globale “Stop alla tortura” – Non solo la tortura è viva e vegeta, ma il suo uso sta aumentando in molte parti del mondo poiché sempre più governi tendono a giustificarla in nome della sicurezza nazionale, erodendo così i progressi fatti negli ultimi 30 anni”. In alcuni paesi la tortura è sistematica, in altri è un fenomeno isolato, ma sempre difficile è far emergere i casi di tortura, per gli ostacoli posti alla denuncia, per la paura e l’isolamento delle vittime, per l’incapacità del sistema giudiziario di portare avanti le indagini, per la mancanza di volontà politica o la “copertura” delle condotte abusive da parte delle istituzioni coinvolte.
“Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamenti o punizioni crudeli, disumani e degradanti”, afferma la Dichiarazione universale dei diritti umani. Il divieto di tortura è stato sancito poi nel 1984 in una Convenzione ad hoc, la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani e degradanti. Le lacune però sono ancora tante. “A partire dal 1984, la Convenzione contro la tortura è stata ratificata da 155 paesi. Amnesty International ha svolto ricerche su 142 di essi, giungendo alla conclusione che nel 2014 la tortura viene praticata ancora da 79 paesi. Negli ultimi cinque anni, Amnesty International ha registrato casi di tortura o di altri maltrattamenti in 141 paesi ma, dato il contesto di segretezza nel quale la tortura viene praticata, è probabile che il numero effettivo sia più alto”, ha denunciato Gianni Rufini, direttore generale di Amnesty International Italia.
La nuova campagna Stop alla tortura si concentrerà su cinque paesi dove la tortura é praticata in modo ampio, per porre fine a questa pratica disumana: Messico, Filippine, Nigeria, Marocco / Sahara Occidentale e Uzbekistan.
In Italia, Amnesty continuerà a sollecitare il paese a colmare un ritardo storico e a introdurre il reato di tortura nel codice penale: il 5 marzo il Senato ha approvato un testo unificato che qualifica la tortura come reato specifico prevedendo l’aggravante nel caso in cui sia commesso da un pubblico ufficiale. Come si legge nell’approfondimento di Amnesty “il testo, positivamente, introduce un reato specifico di tortura e non richiama il requisito della necessaria reiterazione degli atti di violenza o minaccia perché si possa parlare di tortura. Quanto invece alle criticità, il reato viene qualificato come comune e quindi imputabile a qualunque cittadino, anche se si prevede l’aggravante se commesso da pubblico ufficiale; questo, è stato possibile grazie all’approvazione di un emendamento proposto in fase di discussione che ha modificato il testo originario, che invece mirava a qualificare il reato di tortura come reato proprio, oltre che specifico, punibile solo se commesso da un pubblico ufficiale. Un’altra criticità consiste nella non perseguibilità delle condotte omissive. Inoltre, rispetto alla prima versione del disegno di legge, è stata purtroppo eliminata la parte dell’art. 5 che prevedeva l’istituzione di un fondo nazionale per le vittime della tortura”.
La mancanza di questo reato ha portato alla mancanza di giustizia per le vittime della violenza che si è consumata nel G8 di Genova del 2001. Dichiara Marchesi: “A 13 anni dal G8 di Genova del 2001, molti dei responsabili di gravi violazioni dei diritti umani sono sfuggiti alla giustizia e nel nostro paese non esistono strumenti idonei per prevenire e punire le violazioni in maniera efficace. Nel frattempo, molti altri casi che chiamano in causa la responsabilità delle forze di polizia sono emersi e, purtroppo, continuano a emergere senza che vi sia stata una risposta adeguata da parte delle istituzioni. Dopo un quarto di secolo di attesa, è fondamentale che l’Italia si doti di norme efficaci per prevenire e punire la tortura e che queste soddisfino gli standard internazionali in materia di tortura che il nostro paese si è più volte impegnato a osservare. L’assenza di un reato specifico di tortura in Italia ha fatto sì in questi anni, che fattispecie qualificabili e qualificate come tortura venissero sanzionate con pene lievi e non applicabili per intervenuta prescrizione e ha nuociuto alla stessa credibilità dell’operato delle forze di polizia”.