acqua

Servizio idrico nazionale promosso a pieni voti. Questa l’opinione manifestata dagli italiani intervistati dall’Istituto Piepoli che ha condotto un’indagine sul  grado di soddisfazione dei cittadini.  Il documento, presentato questa mattina  a Roma nel corso di una tavola rotonda organizzata da Adiconsum, Adoc, Federconsumatori e Lega Consumatori sul tema “Acqua in scena- i consumatori vogliono sapere e contare”, ha evidenziato che la maggior parte degli italiani attribuisce al servizio idrico un voto che in media supera di gran lunga la sufficienza (7,5).  Ad essere più soddisfatti sono soprattutto gli abitanti del Nord Est (voto 8 ) e del Nord Ovest (voto 7,9), mentre al Centro e al Sud le votazioni variano rispettivamente tra il 7,3 e il 7 pieno. Nonostante ciò, è ancora elevata la diffidenza verso l’acqua di rubinetto come acqua da bere (il 33% non la utilizza affatto). In particolare il 46% non lo fa per ragioni igieniche e il 36% perché non ha questa abitudine.
Oltre all’efficienza e alla qualità del servizio offerto, però, sono altre le questioni che ruotano ormai da tempo attorno all’argomento in questione. Prima fra tutte la gestione della risorsa idrica che, secondo il 91% degli italiani, non può essere sottoposta a logiche di profitto. Ne consegue che sarebbe meglio affidarne la gestione ad aziende pubbliche che, per il 79% del campione, sono sinonimo di tutela dell’interesse collettivo.
Per ciò che riguarda la tassazione, sono in molti (69%) a ritenere che sarebbe opportuno istituire una tariffa unica per tutto il territorio nazionale, così come sarebbe necessaria la creazione di un’Autorità per la regolamentazione del servizio.
Ad un anno dall’esito del referendum che conteneva ben due quesiti sul tema dell’acqua, le associazioni di consumatori hanno voluto fare il punto della situazione su quanto è stato realmente fatto per andare incontro alla volontà espressa dai cittadini che a chiare lettere chiedevano una gestione pubblica dell’acqua e una tariffazione adeguata. Tuttavia, pare che lo sforzo fatto fino a questo momento non tenga realmente conto degli esiti referendari e si stia invece concentrando su altri aspetti che, seppure importanti, non toccano le questioni più scottanti. A fronte, infatti, di un maggiore coinvolgimento della cittadinanza nella definizione delle linea guida sulla gestione del servizio idrico, così come previsto dalla normativa, occorre uno sforzo in più che dovrebbe andare nella direzione del controllo e del monitoraggio dei servizi pubblici locali al fine di evitare sprechi di risorse e aumentare gli investimenti. Di questo, in particolare si dice preoccupato il Presidente di Adiconsum, Pietro Giordano, il quale teme che “il conto finale degli interventi sui servizi idrici sarà pagato esclusivamente dai cittadini che potrebbero ritrovarsi bollette più care a causa dei costi derivanti dal rischio d’impresa”.
Nel momento in cui infatti lo Stato agisce in qualità di impresa è logico pensare che avrà dei costi che dovranno essere ammortizzati e, poiché i gestori non vogliono farsene carico saranno probabilmente ancora una volta i cittadini a dover contribuire. A temere che la volontà popolare di riconoscere all’acqua lo status di bene comune venga seppellita dalle logiche di mercato è anche Paolo Carsetti, esponente del comitato referendario che, nel suo intervento, ha sottolineato che “in questi mesi il Governo ha marciato in direzione contraria ai risultati ottenuti dalle consultazioni popolari”.
Di opinione diversa è invece il dirigente della divisione prezzi del Ministero dello Sviluppo Economico, Massimo Greco il quale valuta positivamente il maggiore coinvolgimento degli italiani nel processo di definizione delle linee guida sul tema della gestione della risorsa idrica. “La partecipazione dei cittadini”, dichiara, “farà aumentare la coscienza civica sul tema e migliorerà anche i rapporti tra Governo e mondo associazionistico”.
L’attenzione al tema dimostra comunque che l’acqua è ormai diventato argomento di primo piano nelle agende politiche del nostro Paese. Gli operatori del settore e la società civile dovranno perciò confrontarsi sempre più da vicino e avviare soluzioni congiunte che tutelino la nozione di “bene comune”.
di Elena Leoparco


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