Sanità pubblica, Adoc e Eures: “Radiografia di un diritto negato”
Adoc e Eures pubblicano il report su sanità pubblica e tutela della salute. Povertà sanitaria, rinuncia alle cure per milioni di cittadini, sottofinanziamento del Servizio pubblico e disimpegno nelle politiche pubbliche in campo sanitario sono la “radiografia di un diritto negato”
Si cura chi può, gli altri rinunciano alla salute. Si sposta chi può e alimenta la mobilità sanitaria, mentre crescono le prestazioni intramoenia e la spesa privata delle famiglie. “Radiografia di un diritto negato” è il report sulla povertà sanitaria presentato oggi da Adoc e Eures, che fanno il punto sullo stato della sanità pubblica e sulla tutela della salute. E denunciano appunto la negazione di un diritto, che parte dal disimpegno della politica nei confronti della sanità pubblica – sottofinanziata da anni – per arrivare alla rinuncia alle cure da parte di chi non può permettersi di pagare di tasca propria.
“Solo chi ha i soldi si cura”
«Lo stato di salute della sanità in Italia è gravissimo e rischia di andare in coma – ha detto Anna Rea, presidente Adoc nazionale – Non possiamo più ignorare il fatto che sempre più persone, soprattutto le più vulnerabili, stanno rinunciando alle cure a causa della diminuzione della spesa sanitaria e dell’inasprimento delle proprie condizioni economiche. Milioni di persone si trovano costrette a scegliere tra la propria salute e altre necessità basilari, come un’alimentazione sana e l’istruzione dei propri figli. Tutti i cittadini hanno un eguale diritto alla salute, ma nel nostro Paese non è più così: solo chi ha soldi si cura e ciò determina disuguaglianze economiche e sociali insanabili».
Per l’Adoc, che oggi lancia la campagna nazionale “No alla povertà sanitaria. La salute non è un privilegio ma un bisogno primario”, «serve una rivoluzione culturale per comprendere che la sanità non rappresenta solo un costo, ma un diritto primario che deve essere garantito a tutti, così come previsto dalla nostra Costituzione».
Rinuncia alle cure per 4 milioni e mezzo di persone
Quali sono i numeri che attestano la lesione di questo diritto?
Prima di tutto c’è la rinuncia alle cure, il dato più drammatico, l’esito dell’impoverimento di fasce crescenti di popolazioni e dell’incapacità di risposta del Servizio sanitario nazionale ai bisogni di salute di una parte dei cittadini.
I dati Istat sui cittadini che rinunciano alle cure “rappresentano nel modo più plastico il segno della abdicazione, da parte dello Stato, al compito di tutelare e preservare, in modo universalmente accessibile, il diritto alla salute dei cittadini”, informa il report.
Nel 2023 ci sono 4 milioni e mezzo di cittadini che hanno rinunciato alle cure, il 7,6% del totale, con un aumento dello 0,6% rispetto al 2022. E con differenze territoriali: la percentuale è maggiore al Centro (8,8%), seguito dal Meridione (7,7%) e infine dal Nord (7,1%). La rinuncia alle cure coinvolge soprattutto le donne, fra le quali l’incidenza è al 9% (vs 6,2% degli uomini) e le persone di età matura. Nella fascia 45-64 anni, infatti, il tasso di rinuncia alle cure raggiunge il 10,3%, scendendo lievemente (9,8%) tra i cittadini con almeno 65 anni di età, per attestarsi sui valori più bassi tra i giovani (2,6% tra gli under 25enni).
Spesa pubblica sanitaria in calo
Tutto questo a fronte di una spesa pubblica sanitaria in calo e con un’incidenza sul Pil che raggiungerà il minimo storico nel 2027.
“Se la garanzia del diritto alla salute, sancito dalla Costituzione, impone la centralità dell’azione pubblica, il quadro italiano – si legge nel dossier – sembra indicare ormai da molti anni un progressivo disimpegno, certificato dalla riduzione della spesa sanitaria in termini reali, in flessione del 3,7% tra il 2021 e il 2022 e dello 0,8% rispetto al valore del 2020 (anno base 2015)”.
L’incidenza della spesa sanitaria sul Pil si aggira intorno al 6,5% negli ultimi venti anni (interrotta dalla crescita in pandemia) poi è andata diminuendo. Le previsioni di spesa indicano che questo valore dovrebbe attestarsi al 6,3% e al 6,4% del PIL nel 2023 e nel 2024, per scendere fino al 6,2% nel 2027 (il valore più basso degli ultimi quindici anni).
Impietoso è il confronto con l’Europa, che evidenzia “la scarsa attenzione della politica italiana alla sanità”. La spesa pubblica pro capite in sanità (a parità di potere d’acquisto) si attesta, infatti, in Italia, a 2.180 euro, mentre in Germania e in Francia raggiunge rispettivamente i 4.641 e i 3.766 euro per abitante. Superiore alla spesa italiana è anche quella della Norvegia (4.445 euro), del Belgio (3.387 euro), dei Paesi Bassi, dell’Irlanda e della Svezia. Dopo l’Italia, soltanto la Grecia (1.196 euro), la Polonia (1.491 euro) e il Portogallo (1.768).
Il disimpegno nelle politiche pubbliche in campo sanitario ha come esito il calo delle strutture sanitarie e dei posti leggo nel pubblico (fra il 2007 e il 2022 i posti letto delle strutture sanitarie pubbliche e accreditate sono diminuiti del 13,1%).
In Italia i medici sono sempre più anziani: il 54,1% dei medici ha 55 o più anni a fronte del 44,5% in Francia, del 44,1% in Germania e di appena il 32,7% in Spagna.
Gli infermieri sono sempre più precari e sono sempre troppo pochi: ne mancano quasi 100 mila per adeguarsi agli standard europei. In Italia si contano infatti 6,2 infermieri in attività per 1 000 abitanti, un valore inferiore del 25% alla media UE (8,5 per mille abitanti), così come lontano dalla maggior parte dei grandi Paesi Europei.
Cresce la spesa sanitaria delle famiglie
A fronte del disimpegno nelle politiche pubbliche, cresce la spesa sanitaria privata e l’accesso alle cure si declina come “un’opportunità differenziata sulla base dei livelli di reddito dei cittadini”.
Fra il 2012 e il 2022, infatti, la spesa complessiva “out of pocket” delle famiglie italiane è passata da 31,5 a 36,8 miliardi di euro (+16,9%), pari ad una spesa media mensile di 113,5 euro.
Questo valore scende tuttavia a 97,3 euro al Sud (-15% sulla spesa media nazionale e -21% rispetto a quella del Nord).
C’è un legame fra livello di reddito e accesso alle cure. Ma è anche vero che l’incidenza della spesa sanitaria delle famiglie su quella totale (il 4,3%) è più alta nelle fasce di popolazione più vulnerabili: è al 5,5% fra gli anziani soli, al 6% nelle coppie anziane, ed è maggiore nelle aree con meno servizi (4,6% al Sud e 4,5% nelle Isole, contro il 4,4% del Nord Est e il 4,2% del Nord Ovest). La necessità di cure erode insomma quote crescenti del reddito fra i cittadini delle fasce meno abbienti.
Si cura chi può. E a fronte di lunghe liste di attesa, aumentano le prestazioni intramoenia per una spesa che supera il miliardo di euro. Altro fenomeno centrale è la mobilità sanitaria, ospedaliera e specialistica ambulatoriale, che aumenta dell’8,1% nel 2022. Si tratta di oltre 19 milioni di prestazioni e quasi 5 miliardi di spesa legati alla mobilità sanitaria, la condizione di coloro che per curarsi devono recarsi in una regione diversa dalla propria. È un fenomeno che si configura soprattutto come migrazione dei cittadini dal Sud verso Nord, con un conseguente dirottamento di risorse economiche.