Sono illegittimi i “contratti” con cui i parenti dei pazienti ricoverati in Residenze Sanitarie Assistenziali (Rsa) vengono costretti ad assumersi l’onere del pagamento delle rette che invece dovrebbero per legge sostenere i Comuni. Lo sottolinea l’Aduc ricordando una recente sentenza del Tribunale di Firenze, che ha dichiarato illegittima la pretesa di pagamento a carico dei parenti fatta da una RSA nel Comune di Borgo San Lorenzo: le persone erano state inserite a cura dei servizi sociali del Comune proprio perché aventi diritto all’assistenza.

Il caso riguarda, ricorda l’Aduc, la vicenda di una signora cui una RSA aveva chiesto il pagamento 8 mila euro dopo il ricovero e la morte dei genitori anziani non autosufficienti che erano ospitati nella struttura. La sentenza del Tribunale, spiega l’associazione, dichiara il difetto di giurisdizione e annulla le pretese economiche della struttura revocando il decreto ingiuntivo originariamente emesso nel 2009 a suo favore.

Alla signora era infatti stata ingiunta una somma di oltre 8 mila euro a titolo di quota sociale della retta di ricovero. La struttura, spiega l’Aduc, fondava le ragioni del proprio credito per aver la figlia firmato, all’atto di ingresso dei genitori (nel caso di specie, del padre), un “impegno al pagamento della retta di ricovero”. Si tratta però, spiega l’Aduc, di un “impegno che viene illegittimamente preteso per procedere con il ricovero.E’ noto che la quota sociale spetta al Comune di residenza della persona ricoverata, con la compartecipazione della stessa, in base ai soli suoi redditi fiscalmente imponibili”.

L’associazione sta seguendo da tempo la vicenda delle rette RSA. In una pagina dedicata sul proprio sito, ricorda i termini della questione: l‘art. 25 della legge 328/2000 ha dato piena attuazione alla normativa ISEE che garantisce l’assistenza (quasi) gratuita per i soggetti più deboli in caso di ricovero in case di riposo, o “Residenze sanitarie assistenziali” (Rsa). “Da tempo, però, denunciamo le prassi illegittime di moltissimi comuni d’Italia che, a fronte di ricoveri di soggetti anziani non autosufficienti o disabili gravi, calcolano la quota di retta a carico dell’utente non solo sulla base del suo reddito, come prevede la legge, ma anche del reddito dei suoi familiari, a cui poi viene richiesto il pagamento – denuncia l’Aduc – Una prassi che spesso mette in ginocchio famiglie intere, costrette a pagare cifre esorbitanti”.

In pratica le strutture fanno sottoscrivere impegnative “privatistiche” ai parenti al momento dell’ingresso, anche se effettuato per il tramite del servizio sociale del comune. Cosicché, a prescindere dalla legittimità o meno degli atti che determinano l’importo, il pagamento spetti comunque al parente del paziente per intero ad altro titolo.

Il Tribunale di Firenze ha accolto l’opposizione presentata dall figlia della coppia, dichiarando in pratica che  che la materia non può esser regolata tramite “contratto” ma che invece si verte nell’ambito di “procedimento amministrativo” e che non valgono le firme apposte all’ingresso della Rsa da parte dei pazienti o dei parenti ad aggirare le norme pubblicistiche che stabiliscono modi e criteri di ripartizione dei costi di degenza fra enti pubblici e cittadini. Si legge nella sentenza che: “…l’utente non ha “contrattato” il prezzo della prestazione sanitaria di assistenza con la Rsa convenuta, disponibile ad offrirgli tale servizio, nell’ambito di un normale rapporto sinallagmatico di tipo contrattuale, bensì è stato inserito nella Rsa a cura dei servizi sociali del Comune proprio perché avente diritto – avendone tutti i requisiti di legge – ad una particolare prestazione socio sanitaria (ricompresa nei c.d. Livelli Essenziali di Assistenza), prestazione che per legge l’ente pubblico gli deve garantire, anche se può farlo direttamente, oppure mediante strutture private all’uopo convenzionate.”


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