L’accesso alle nuove terapie per i malati di epatite C è difficoltoso: sono pochi i pazienti trattati con i farmaci innovativi, troppo poco il personale dedicato ed esistono sensibili differenze regionali nell’organizzazione dei servizi. Solo il 15% dei pazienti con epatite C è ritenuto idoneo all’utilizzo dei farmaci innovativi per la cura della malattia e fra questi solo un paziente su quattro ha avuto un accesso immediato alla nuova terapia, mentre il 35% è inserito in lista di attesa. Sono i principali risultati dell’Indagine civica sull’accesso alle nuove terapie, presentata da Cittadinanzattiva insieme ad EpaC onlus.
Attualmente per il trattamento dell’epatite C sono disponibili i nuovi inibitori della proteasi che, in associazione ai farmaci già disponibili, vanno a formare la cosiddetta “triplice terapia”, un nuovo trattamento, destinato ai pazienti HCV positivi con genotipo 1, che aumenta la possibilità di successo terapeutico sino all’80%. Per inserire i nuovi farmaci in tutti i prontuari regionali sono stati necessari due anni, da luglio 2011- quando l’Agenzia europea del farmaco ha dato il via libera alla commercializzazione in Europa – al maggio 2013, quando l’Emilia Romagna per ultima li ha inseriti nel proprio prontuario.
Una delle principali evidenze che emerge dalla ricerca è la difficoltà di accedere alle cure, insieme alle croniche differenze regionali. Dalle interviste fatte ai pazienti fra agosto e dicembre 2013, emerge che solo 4 su 10 sono ritenuti idonei all’utilizzo dei nuovi farmaci innovativi. Alla base ci sono perlopiù valutazioni di tipo clinico (trattamento rischioso per malattia troppo avanzata – 18,6% –  o malattia troppo lieve  – 12,2%) a cui va aggiunto un 15% ai quali è stato consigliato dallo specialista di aspettare farmaci con minori effetti collaterali. C’è comunque una difficoltà di accesso immediato alla cura: solo un paziente su tre, fra coloro ritenuti idonei, ha avuto infatti un accesso immediato alla cura innovativa. Tra le difficoltà ci sono soprattutto lunghe liste di attesa (42%) e il ritardo nella  visita rimandata senza che i pazienti vengano inseriti in liste di attesa (25%). Non pochi i pazienti ancora indecisi o dubbiosi: vuoi per paura degli effetti collaterali difficili da sopportare (19%), vuoi per mancanza di informazioni chiare per prendere una decisione definitiva (12%).
Le strutture deputate a erogare la nuova terapia sono a livello nazionale 353 e fra i 65 Centri intervistati, risulta che ben l’80% continua a lavorare con la stessa dotazione di personale, nonostante l’aumento delle complessità gestionali dei nuovi trattamenti; il 20% inoltre dei Centri indica di aver aspettato da uno a tre mesi per avere a disposizione i farmaci da somministrare ai pazienti. Inoltre, meno della metà delle Regioni ha formalizzato e reso pubblico un Percorso diagnostico terapeutico completo per la gestione della cura. Manca invece una regia nazionale che uniformi i criteri di accesso alle terapie e per questo ogni Regione individua modelli diversi di organizzazione dei servizi.
Commenta Tonino Aceti, responsabile del CnAMC e coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato: “Le liste di attesa stanno diventando un fenomeno sempre più diffuso che si è esteso anche all’accesso alle terapie farmacologiche. Chiediamo che su questo le Regioni si attivino subito, anche rivedendo le modalità di individuazione e di organizzazione dei centri prescrittori. Due anni per rendere disponibili ovunque le terapie è una tempistica inaccettabile. Oltre a semplificare l’iter di approvazione e rimborso a livello nazionale, è necessario evitare che a livello regionale si duplichino attività già svolte dall’AIFA. Per questo proponiamo che, a tutela dei diritti dei cittadini, si prevedano per le Regioni inadempienti “procedure d’infrazione” analogamente a quanto avviene in Europa”.


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