Il testo definitivo del TTIP (l’accordo commerciale di libero scambio tra Europa e Stati Uniti) non ha ancora visto la luce ma intanto i movimenti contrari alla stesura di questo trattato, che per alcuni avrà una valenza storica, continuano a diventare più numerosi e consistenti in tutta Europa. In Italia la campagna “Stop TTIP” ha radunato un folto gruppo di sigle e organizzazioni che il 7 maggio prossimo scenderanno in piazza per esprimere la loro contrarietà al varo del trattato. L’annuncio della manifestazione è stato dato venerdì pomeriggio nel corso di una conferenza stampa durante la quale l’Osservatorio italiano su clima e commercio, Fairwatch, ha presentato anche un dossier che studia l’impatto del TTIP sull’agroalimentare.
Il titolo (forse un po’ provocatorio) “Faq!” fa subito pensare allo scopo del dossier: provare a dare risposte ad alcune tra le più frequenti domande che aleggiano attorno al TTIP e alle sue influenze su un settore come quello agroalimentare che interessa da vicino tutti.
Analizzando gli aspetti puramente commerciali in relazione al mercato italiano, si osserva innanzitutto che le esportazioni agroalimentari non bastano ad assicurare la tenuta dell’agricoltura italiana. Nonostante il -3,8% di crescita per l’export registrata nel 2015, “la nostra dipendenza dall’estero per fare carne, salumi, latte e formaggi Made in Italy è vicina al 40%. Abbiamo un deficit commerciale agroalimentare di -7,580 euro”, si legge nel rapporto. Inoltre, nel mercato statunitense la maggior parte dei cittadini non potrà mai permettersi di acquistare un prodotto realmente italiano.
La liberalizzazione non implicherà affatto una maggiore disponibilità di scelta per i consumatori europei e statunitensi che, al contrario, saranno maggiormente eseposti al rischio. Quello che limita di più il commercio tra USA e UE al momento, infatti, sono le regole che proteggono la nostra sicurezza alimentare. Si pensi ad esempio al caso Glifosfato: “Negli Stati Uniti”, dice Sharon Treat, ex parlamentare democratica statunitense, intervenuta alla presentazione del dossier, “questa sostanza è ammessa per il trattamento dei prodotti agroalimentari sulla base di studi scientifici di cui però non si conoscono i risultati in termini di sostenibilità ambientale e di salute dei consumatori”.
Con il TTIP, molte delle etichette IGP verrebbero perse: delle 269 riconosciute oggi dall’UE, gli Stati Uniti sono disposti a riconoscerne solo 41. “Il rischio è quello di mettere in pericolo l’agricoltura di qualità del nostro paese”, dichiarano da Slowfood, “Dobbiamo quindi cercare di proteggere questo comparto economico, fatto di piccole e medie imprese che non hanno nessun beneficio da trarre da questo accordo”.
Infatti, come sottolinea il dossier, solo lo 0,7% delle Pmi europee esporta verso gli USA. Nel caso dell’Italia, infine, le imprese agroalimentari che esportano sono meno del 12%, con un fatturato medio per l’export pari a 1 settimo delle vendite. I restanti 6/7 li fanno in Italia. Resta difficile quindi pensare che potrebbero sopravvivere di fronte a una concorrenza, come quella americana organizzata e per certi versi spietata.


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