Top News/Etichette, un’altra voce alle polemiche: Viviana Varese (Le Soste)
“Il semaforo? Sta bene solo in strada”. Così avevano reagito le associazioni che rappresentano la ristorazione italiana quando, nel mese di maggio scorso, si è appresa la notizia del presunto endorsement del Beuc (l’organizzazione dei consumatori europei) alle multinazionali del Food&Beverage sulla questione dell’aggiornamento dei profili nutrizionali in etichetta.
La lettera inviata dal Beuc e sottoscritta da alcuni dei grandi nomi del Food&Beverage internazionale alla Commissione Europea aveva infatti scatenato un’ondata di reazioni e polemiche da parte della società civile e dai professionisti dell’alimentazione, chef compresi.
Con un’azione sincronizzata e di sistema le associazioni della ristorazione (Ambasciatori del Gusto, CHIC, Euro-Toques Italia, la Federazione Italiana Cuochi (FIC), Jeunes Restaurateurs Italia (JRE) e Le Soste) si sono schierate a favore e a supporto dell’azione del Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali Maurizio Martina che ha espresso un “no” convinto al Commissario Europeo per la Salute e la sicurezza alimentare e al Commissario Europeo per l’agricoltura e lo sviluppo rurale sullo schema di etichettatura nutrizionale basato sul “codice colore” già adottato nel Regno Unito.
A distanza di qualche tempo, un’altra voce si aggiunge a quelle che la redazione di Help Consumatori ha raccolto in questo periodo, quella di Viviana Varese, chef e membro del direttiva “Le Soste” che sulla vicenda sembra avere un’idea ben chiara in mente: “Le multinazionali, per come funziona adesso il sistema internazionale dell’economia, sono sicuramente favorite in questo genere di discussioni. Gli interessi economici tendono infatti a diventare interessi politici”.
Ma l’Italia in questo scacchiere di equilibri “ha bisogno di proteggersi da iniziative di questo genere promosse dall’Unione Europea perché deve continuare sempre di più ad aumentare i prodotti di qualità che testimoniano la grande biodiversità del nostro Paese”.
Sul semaforo nessun dubbio quindi: si tratta di “un discorso legato solo alla quantificazione delle calorie ma che non tiene per nulla in conto la salute della persona. Fare una dieta, ad esempio, non significa non immettere calorie ma nutrirsi di cose che fanno bene alla salute”.
Quali conseguenze negative ci potrebbero essere se si adottasse un’etichettatura di questo tipo?
“Sicuramente ricadute economiche: considerare l’olio d’oliva o il parmigiano reggiano come prodotti da bollino rosso ha delle ricadute notevoli sull’economia di un territorio. Ma il vero problema riguarda l’informazione che arriva alla gente. Sono poche le nozioni che i consumatori hanno su provenienza, sistemi di allevamento o coltivazione di un prodotto, se in esso sono presenti elementi chimica, se e quanto male fa alla persona. Tutti dovremmo fermarci a pensare a come il cibo viene prodotto. L’etichetta dovrebbe essere il più possibile narrante e riferirsi a disciplinari seri”.
Come conciliare però il bisogno di informazioni da dare ai consumatori con la necessità di un’etichetta che sia anche facilmente fruibile?
“I marchi di qualità sono fondamentali in questo: sfruttare al massimo quelli esistenti e allo stesso tempo pensare di crearne altri indirizzati alla salute dei consumatori. Ad esempio i prodotti “Presidio Slow food” hanno un disciplinare molto serio che regolamenta come vengono allevati e coltivati i prodotti”.
Un’altra azione fondamentale, secondo Viviana Varese, spetta proprio agli chef e ai professionisti della ristorazione. “Il nostro ruolo di chef è quello di promuovere il mangiare sano e aiutare gli agricoltori seri che producono bene. È un buon punto di partenza per far capire ai consumatori l’importanza dell’alimentazione per il benessere della persona”.