La preimpostazione di alcuni servizi nelle Sim card telefoniche, come la segreteria telefonica e l’accesso a Internet, non è necessariamente illecita e non rappresenta automaticamente una pratica commerciale aggressiva. Questa la proposta fatta dall’avvocato generale della Corte di giustizia dell’Unione europea, chiamata a pronunciarsi su un caso che ha contrapposto l’Antitrust italiano a Wind e Vodafone.

Secondo la proposta dell’avvocato generale (che non vincola la Corte) “il mero fatto di non informare l’utente in merito alla preimpostazione dei servizi di segreteria telefonica e di navigazione internet su una carta SIM destinata a essere inserita in uno smartphone non costituisce una pratica commerciale sleale o aggressiva se l’utente è stato previamente informato delle modalità di accesso e del prezzo di tali servizi”.

Cosa è accaduto? Nel 2012 l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha multato Wind Telecomunicazioni (attualmente Wind Tre) e Vodafone Omnitel (attualmente Vodafone Italia) ritenendole responsabili di una pratica commerciale aggressiva consistente nella commercializzazione di carte SIM per smartphone sulle quali erano preimpostati servizi di segreteria telefonica e di navigazione Internet senza che i consumatori ne fossero informati. La questione è arrivata al Tar del Lazio (che ha accolto i ricorsi delle due società telefoniche, dichiarando la cosa di competenza dell’Agcom) e poi in appello al Consiglio di Stato, che ha chiesto alla Corte di giustizia se la condotta degli operatori di telefonia possa essere qualificata come «fornitura non richiesta» o «pratica commerciale aggressiva» ai sensi della direttiva 2005/29 e, inoltre, se le disposizioni della direttiva debbano cedere il passo ad altre norme di diritto dell’Unione ed eventualmente a disposizioni nazionali emanate in esecuzione di tali norme.

Nelle conclusioni odierne, l’avvocato generale Manuel Campos Sánchez-Bordona ritiene che “il mero fatto di non informare della preimpostazione dei servizi di segreteria telefonica e navigazione internet su una carta SIM destinata a essere inserita in uno smartphone non costituisce una pratica commerciale sleale o aggressiva qualora l’utente sia stato previamente informato in merito alle «modalità tecniche ed operative mediante le quali [tali] servizi vengono concretamente fruiti dal consumatore [e al] prezzo dei servizi stessi», circostanza la cui verifica spetta al giudice nazionale”.

Anche se non si può escludere che ci sia stata la fornitura non richiesta di servizi, viene chiamata in causa la competenza del consumatore medio che accetterebbe implicitamente la fornitura. Secondo l’avvocato, infatti, “il consumatore medio normalmente sa che i servizi controversi entrano in funzione digitando il numero della segreteria o azionando i comandi che attivano la navigazione internet. La loro fruizione da parte dell’utente potrebbe quindi equivalere all’accettazione implicita della loro fornitura”.

sim cardPer far sì che la pratica commerciale sia sleale, serve che il pagamento del servizio sia richiesto illecitamente. “Per stabilire se il pagamento richiesto nel caso di specie fosse o meno illecito, l’avvocato generale osserva che il giudice nazionale dovrà accertare in che misura le informazioni fornite in merito ai prezzi dei servizi consentano al consumatore medio di dedurre che la carta SIM acquistata può offrirgli detti servizi, in quanto non vi sono dubbi sulla loro preimpostazione e, di conseguenza, sui costi associati alla loro fruizione”.  L’omissione di informazioni non viene considerata come pratica aggressiva perché, propone ancora l’avvocato, alla luce della direttiva 2005/29, una pratica commerciale è «aggressiva» quando, per mezzo di una condotta attiva del commerciante consistente in molestie, coercizione o nel ricorso a un indebito condizionamento, il consumatore è indotto ad assumere una decisione che non avrebbe altrimenti preso. E l’avvocato generale “ritiene che l’omissione di informazioni addebitata agli operatori di telefonia nelle presenti cause non rientri in nessuna di queste ipotesi”.

Sulla questione delle direttive da applicare, si fa riferimento alla necessità di un’applicazione congiunta della direttiva 2005/29 e della direttiva servizio universale, perché “ per stabilire se la fornitura sia stata o meno richiesta dal consumatore (direttiva 2005/29), sarà necessario verificare se le informazioni che gli sono state fornite siano conformi ai requisiti imposti dalla direttiva servizio universale, la quale non qualifica come condotta illecita la fornitura non richiesta di servizi, ma precisa le informazioni che le imprese di servizi di comunicazione elettronica devono fornire ai consumatori”.

 

Notizia pubblicata il 31/05/2018 ore 17.24


Vuoi ricevere altri aggiornamenti su questi temi?
Iscriviti alla newsletter!



Dopo aver inviato il modulo, controlla la tua casella per confermare l'iscrizione
Privacy Policy

Parliamone ;-)