I rifiuti sono una grande questione economica e ambientale. Per questo l’Italia deve aumentare la concorrenza nel settore, adeguarsi alla direttiva europea che prevede una quota di riciclo pari al 50% entro il 2020 (noi oggi siamo fermi al 39%) ed incrementare la raccolta differenziata, anche porta a porta. E bisogna riformare il sistema consortile per la raccolta degli imballaggi imperniato sul monopolio sostanziale del Conai. E’ il quadro che emerge dall’indagine sul mercato della gestione del rifiuti urbani, avviata dall’Antitrust ad agosto 2014.
Le parole d’ordine per risolvere le criticità della gestione dei rifiuti urbani sono raccolta differenziata, riciclo e termovalorizzazione. Ma non si va da nessuna parte se non si aumenta la concorrenza nel settore. Dall’indagine conoscitiva, realizzata dall’Antitrust a seguito di diverse segnalazioni sulle criticità del settore, emerge chiaramente come l’ampliamento degli spazi di concorrenza si coniughi pienamente con il raggiungimento degli obiettivi ambientali.
“Quella della gestione dei rifiuti urbani – ha detto il presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella – è una grande questione economica, ambientale e anche giudiziaria: basti pensare all’intensa attività delle eco-mafie in questo campo e quindi alla necessità di intensificare il controllo di legalità soprattutto nelle regioni meridionali”.
Bisogna adeguare l’Italia alla direttiva europea che prevede una quota di riciclo pari al 50% entro il 2020, mentre nel nostro Paese è di circa il 39% (dati Eurostat 2013) contro il 65% della Germania, il 58% dell’Austria e il 55% del Belgio.
La quota di differenziata e di riciclo, in base alle indicazioni contenute nell’indagine, potrebbe essere ulteriormente incrementata attraverso la raccolta “porta a porta”: questa risulta al momento la più costosa, ma complessivamente realizza una gestione dei rifiuti più economica (perché produce valore) e più ecologica (perché promuove l’uso di prodotti riciclati). Per raggiungere l’obiettivo, è necessario innanzitutto correggere la forte eterogeneità che si riscontra sia nelle varie fasi della filiera sia nelle diverse realtà locali. Finora l’organizzazione della raccolta è stata storicamente incentrata sui Comuni, con la presenza di un gran numero di operatori di piccole dimensioni; il frequente ricorso all’affidamento del servizio in via diretta e senza gara; e con una durata degli affidamenti eccessivamente lunga (fino a 20 anni e anche oltre).
Da qui, le proposte dell’Antitrust per rivedere le modalità di affidamento della raccolta, privilegiando la gara laddove possibile, limitandone la durata a un massimo di 5 anni e vincolando gli affidamenti in-house a unbenchmarking di efficienza; ridefinire i bacini per la raccolta, in modo da differenziarli e ampliarli per le fasi a valle (trattamento meccanico-biologico e termovalorizzazione), con una gestione che disincentivi il conferimento in discarica, utilizzando meglio lo strumento dell’ecotassa per rendere economicamente più conveniente il ricorso ai TMB e ai TMV; applicare un modello di regolazione centralizzato, affidando le competenze – per esempio – all’Autorità per l’energia. Il gas e il sistema idrico.
Infine, si deve aggiungere una riforma del sistema consortile (Conai), al quale viene riconosciuto il merito di aver svolto finora un ruolo fondamentale nell’avvio a riciclo della differenziata, ma che dovrebbe adesso evolversi in un modello concorrenziale per garantire che i produttori di imballaggi rispettino il principio “chi inquina paga”.


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