Se facciamo una ricerca sul nostro nome, ad esempio su Google, e tra i risultati ottenuti ci sono link a pagine web che contengono informazioni su di noi che non ci piacciono (perché violano il nostro diritto fondamentale alla vita privata), possiamo ottenere che quei link vengano rimossi. Lo spiega in una sentenza odierna la Corte di Giustizia dell’UE.
La Corte precisa che il gestore di un motore di ricerca è responsabile del trattamento da esso effettuato dei dati personali che appaiono su pagine pubblicate da terzi. Se, facendo una ricerca sul nome di una persona, tra i risultati appaiono link a pagine web che contengono informazioni su di essa, è suo diritto chiedere la soppressione di questi link dall’elenco di risultati. La normativa di riferimento per questa materia è la direttiva UE n. 46 del 1995 che mira a proteggere le libertà e i diritti fondamentali delle persone fisiche (come il diritto alla vita privata) in occasione del trattamento dei dati personali, eliminando al tempo stesso gli ostacoli alla libera circolazione di tali dati.
Nel 2010 un cittadino spagnolo ha presentato all’Agenzia spagnola di protezione dei dati un reclamo contro l’editore di un quotidiano largamente diffuso in Spagna, e contro Google Spain e Google Inc, perché tra i risultati ottenuti con Google Search dopo una ricerca sul proprio nome c’erano dei link verso due pagine del quotidiano che annunciavano una vendita all’asta di immobili organizzata a seguito di un pignoramento effettuato per la riscossione coattiva di crediti previdenziali nei confronti del signore.
Nel reclamo, il cittadino ha chiesto al quotidiano di sopprimere o modificare le pagine affinché i suoi dati personali non vi comparissero più,  o di ricorrere agli strumenti forniti dai motori di ricerca per proteggere tali dati. Dall’altro lato, ha chiesto che fosse ordinato a Google Spain o a Google Inc. di eliminare o di occultare i suoi dati personali, in modo che cessassero di comparire tra i risultati di ricerca e non figurassero più nei link del quotidiano spagnolo, poiché il pignoramento effettuato nei suoi confronti era stato interamente definito da svariati anni e la menzione dello stesso era ormai priva di qualsiasi rilevanza.
L’Autorità ha respinto il reclamo diretto contro il quotidiano, ritenendo che l’editore avesse legittimamente pubblicato le informazioni in questione. Ha invece accolto quello nei confronti di Google Spain e Google Inc, chiedendo alle due società di adottare le misure necessarie per rimuovere i dati dai loro indici e per rendere impossibile in futuro l’accesso ai dati stessi. Google Spain e Google Inc. hanno chiesto l’annullamento di questa decisione.
Nella sua sentenza odierna, la Corte precisa che  “esplorando Internet in modo automatizzato, costante e sistematico alla ricerca delle informazioni ivi pubblicate, il gestore di un motore di ricerca raccoglie dati ai sensi della direttiva”; li “estrae, registra e organizza nell’ambito dei suoi programmi di indicizzazione, prima di conservarli nei suoi server ed, eventualmente, comunicarli e metterli a disposizione dei propri utenti sotto forma di elenchi di risultati”. “Tali operazioni, contemplate in maniera esplicita e incondizionata dalla direttiva, devono essere qualificate come «trattamento», anche nell’ipotesi in cui riguardino informazioni già pubblicate tali e quali nei media”.
Secondo la Corte il gestore del motore di ricerca è il «responsabile» di tale trattamento, ai sensi della direttiva, dato che è lui a determinarne le finalità e gli strumenti del trattamento stesso. La Corte rileva in proposito che, nella misura in cui l’attività di un motore di ricerca si aggiunge a quella degli editori di siti web e può incidere significativamente sui diritti fondamentali alla vita privata e alla protezione dei dati personali, il gestore del motore di ricerca deve garantire, nell’ambito delle sue responsabilità, delle sue competenze e delle sue possibilità, che detta attività soddisfi le prescrizioni della direttiva. Soltanto in tal modo le garanzie previste dalla direttiva potranno sviluppare pienamente i loro effetti e potrà essere effettivamente realizzata una tutela efficace e completa delle persone interessate.
Rispetto all’applicazione territoriale della direttiva, la Corte osserva che Google Spain costituisce una filiale di Google Inc. nel territorio spagnolo e, pertanto, uno «stabilimento» ai sensi della direttiva: il trattamento dei dati viene effettuato “nel contesto delle attività” di tale stabilimento, ai sensi della direttiva, qualora quest’ultimo sia destinato ad assicurare, nello Stato membro in questione, la promozione e la vendita degli spazi pubblicitari proposti sul motore di ricerca al fine di rendere redditizio il servizio offerto da quest’ultimo.
Per quanto riguarda poi l’estensione della responsabilità del gestore del motore di ricerca, la Corte constata che quest’ultimo è obbligato, in presenza di determinate condizioni, a sopprimere, dall’elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, dei link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative a tale persona. Tale obbligo può esistere anche nell’ipotesi in cui tale nome o tali informazioni non vengano previamente o simultaneamente cancellati dalle suddette pagine web, e ciò eventualmente anche quando la loro pubblicazione sulle pagine in questione sia di per sé lecita.
La Corte sottolinea in tale contesto che un trattamento di dati personali effettuato da un gestore siffatto consente a qualsiasi utente di Internet, allorché effettua una ricerca a partire dal nome di una persona fisica, di ottenere, mediante l’elenco di risultati, una visione complessiva strutturata delle informazioni relative a questa persona su Internet. Tali informazioni toccano potenzialmente una moltitudine di aspetti della vita privata e che, in assenza del motore di ricerca, esse non avrebbero potuto, o soltanto difficilmente avrebbero potuto, essere connesse tra loro. Gli utenti di Internet possono così stabilire un profilo più o meno dettagliato delle persone ricercate. Inoltre, l’effetto dell’ingerenza nei diritti della persona risulta moltiplicato in ragione del ruolo importante che svolgono Internet e i motori di ricerca nella società moderna, i quali conferiscono alle informazioni contenute negli elenchi di risultati carattere ubiquitario. Tenuto conto della sua potenziale gravità, una simile ingerenza non può, secondo la Corte, essere giustificata dal semplice interesse economico del gestore del motore di ricerca nel trattamento dei dati.
Tuttavia, poiché la soppressione di link dall’elenco di risultati potrebbe, a seconda dell’informazione in questione, avere ripercussioni sul legittimo interesse degli utenti di Internet potenzialmente interessati a avere accesso a quest’ultima, la Corte constata che occorre ricercare un giusto equilibrio tra tale interesse e i diritti fondamentali della persona interessata, e segnatamente il diritto al rispetto della vita privata e il diritto alla protezione dei dati personali. La Corte rileva in proposito che, se indubbiamente i diritti della persona interessata prevalgono, di  norma, anche sul citato interesse degli utenti di Internet, tale equilibrio può nondimeno dipendere, in casi particolari, dalla natura dell’informazione di cui trattasi e dal suo carattere sensibile per la vita privata della persona suddetta, nonché dall’interesse del pubblico a ricevere tale informazione, il quale può variare, in particolare, a seconda del ruolo che tale persona riveste nella vita pubblica.
Infine, sulla questione del diritto all’oblio (ovvero se la direttiva consenta alla persona interessata di chiedere che dei link verso pagine web siano cancellati da tale elenco di risultati per il fatto che questa persona desideri che le informazioni relative alla sua persona siano oggetto di “oblio” dopo un certo tempo), la Corte rileva che, qualora si constati, in seguito a una richiesta della persona interessata, che l’inclusione di tali link nell’elenco è, allo stato attuale, incompatibile con la direttiva, le informazioni e i link figuranti in tale elenco devono essere cancellati. Anche un trattamento inizialmente lecito di dati esatti può divenire, con il tempo, incompatibile con la direttiva nel caso in cui tali dati risultino inadeguati, non pertinenti o non più pertinenti ovvero eccessivi in rapporto alle finalità per le quali sono stati trattati e al tempo trascorso. La Corte aggiunge che, nel valutare una domanda di questo tipo proposta dalla persona interessata contro il trattamento realizzato dal gestore di un motore di ricerca, occorre verificare in particolare se l’interessato abbia diritto a che le informazioni in questione riguardanti la sua persona non vengano più, allo stato attuale, collegate al suo nome da un elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome. Qualora si verifichi un’ipotesi siffatta, i link verso pagine web contenenti tali informazioni devono essere cancellati da tale elenco di risultati, a meno che sussistano ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, giustificanti un interesse preminente del pubblico ad avere accesso, nell’ambito di una ricerca siffatta, a dette informazioni.
La Corte precisa che la persona interessata può rivolgersi direttamente al gestore del motore di ricerca, che deve procedere al debito esame della fondatezza della richiesta. Qualora il responsabile del trattamento non dia seguito a tali domande, la persona interessata può adire l’autorità di controllo o l’autorità giudiziaria affinché queste effettuino le verifiche necessarie e ordinino a detto responsabile l’adozione di misure precise conseguenti.
 


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