
Peste suina, Sardegna libera dal virus. Buone notizie anche per Calabria, Piemonte e Liguria (Foto di Peggychoucair da Pixabay)
Peste suina, Sardegna libera dal virus. Buone notizie anche per Calabria, Piemonte e Liguria
La Sardegna può considerarsi libera dal virus. La Commissione Ue si è espressa all’unanimità anche sull’uscita dalle zone di restrizione di alcuni territori della regione Calabria, Piemonte e Liguria
La Sardegna è libera dalla peste suina: il 20 settembre gli stati membri dell’Unione europea hanno votato all’unanimità la proposta della Commissione europea di riconoscere l’eradicazione della Peste suina africana in Sardegna. La regione può, quindi, considerarsi libera dal virus.
Non solo, la Commissione si è espressa all’unanimità anche sull’uscita dalle zone di restrizione di alcuni territori della regione Calabria, Piemonte e Liguria.
“È una buona notizia per gli allevatori e l’applicazione delle corrette strategie dimostra come sia possibile ottenere dei risultati. Dobbiamo continuare a lavorare nelle altre zone interessate dal virus per contrastare la diffusione della peste suina africana con l’obiettivo di una completa eradicazione”, ha commentato Giovanni Filippini, commissario straordinario Peste Suina Africana e direttore generale della Salute animale del Ministero della Salute.
Peste suina africana, di cosa si tratta?
Ma facciamo un passo indietro, cos’è la peste suina africana (PSA)? Come spiegato dall’Efsa in un approfondimento dedicato, si tratta di una malattia virale dei suini e cinghiali selvatici che causa un’elevata mortalità negli animali da essa infettati. Il virus che la provoca, innocuo per l’uomo, genera notevoli disagi socio-economici in molti Paesi. Le aree interessate da PSA, infatti, subiscono notevoli perdite economiche a causa del decesso degli animali, delle restrizioni agli spostamenti di maiali, cinghiali selvatici e loro prodotti nonché del costo delle misure di controllo.
“La PSA – si legge nell’approfondimento – è endemica nell’Africa sub-sahariana, dove la malattia venne inizialmente scoperta. In Europa, invece, tra il 1995 e il 2007 era confinata unicamente alla Sardegna. Tuttavia nel 2007 si verificarono focolai di PSA in Georgia e la malattia si diffuse ai Paesi limitrofi, colpendo maiali e cinghiali selvatici. Nel 2014 vennero segnalati i primi focolai nell’Unione europea, tra i cinghiali selvatici degli Stati baltici e della Polonia. Da allora la malattia si è diffusa ad altri Paesi dell’UE e ai Paesi terzi confinanti e negli ultimi anni si sono verificati focolai anche in Asia, Oceania e in alcuni Paesi americani”.
L’eradicazione della malattia – specifica ancora l’Efsa – può richiedere diversi anni e non ci sono vaccini né cure. Quanto alle cause di contagio, maiali e cinghiali selvatici sani di solito vengono infettati per:
- contatto diretto con animali infetti
- contatto indiretto da ingestione di prodotti ricavati da animali infetti, e contatto con indumenti, veicoli o attrezzature contaminati
- punture di zecche molli infette (lì dove presenti).
La situazione in Italia negli ultimi mesi
Ripercorrendo le ultime notizie riguardanti la diffusione della malattia in Italia, ricordiamo che da gennaio 2022 l’epidemia si è diffusa a macchia d’olio in otto regioni. “Il 29 agosto 2024 – riporta il fatto alimentare – il Commissario Straordinario alla Peste Suina Africana Giovanni Filippini ha emanato, quindi, l’Ordinanza n.3/2024, sulle misure da adottare negli allevamenti situati in Piemonte, Lombardia ed Emilia-Romagna”.
Si parla di oltre 2.400 carcasse di cinghiali morti a causa del virus, 26 allevamenti di suini contagiati negli ultimi mesi (45 in totale), 60 mila maiali abbattuti.
L’ordinanza emanata ad agosto e in vigore fino al 30 settembre – come spiegato da il fatto alimentare – “inasprisce il divieto di movimentazione degli animali negli allevamenti situati nella zona rossa. In quest’area i maiali possono essere spostati solo per andare al macello, e comunque anche questa operazione deve essere fatta dopo accurati controlli”.
L’ordinanza dispone, inoltre, “il divieto di ingresso negli allevamenti di qualsiasi persona, compresi i veterinari liberi professionisti, i tecnici di filiera, i mangimisti e di tutte le persone che non si occupano della gestione degli animali. Il divieto è esteso anche a cani e altri animali da compagnia o da reddito. Negli allevamenti è vietata anche qualsiasi manutenzione o lavoro non strettamente connesso ad interventi a garanzia del benessere animale“.
Ancora, “gli operatori che lavorano negli allevamenti devono indossare tute e calzari monouso e garantire di non aver visitato altre strutture nelle 48 ore precedenti e di non essere stati in boschi o luoghi in cui sia stata segnalata la presenza di cinghiali”.
