Neve, mai così poca sulle Alpi in 600 anni. Innevamento artificiale? Non è la soluzione (fonte immagine: Pixabay)

Non c’è mai stata così poca neve sulle Alpi negli ultimi 600 anni. E nell’ultimo secolo la durata del manto nevoso si è accorciata di oltre un mese. È la scoperta fatta da un gruppo di ricercatori italiani che mette nero su bianco come il recente calo delle neve sulle Alpi non abbia precedenti negli ultimi secoli, come si legge nel titolo dell’articolo Recent waning snowpack in the Alps is unprecedented in the last six centuries, appena pubblicato sulla rivista «Nature Climate Change». Lo studio è frutto della collaborazione di un team di ricercatori dell’Università di Padova e dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima (Isac) del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna coordinato dal prof. Marco Carrer del Dipartimento Territorio e Sistemi AgroForestali di Padova.

«La neve sta diventando sempre più effimera nelle nostre Alpi – informa una nota – Nonostante la tipica variabilità che conosciamo bene tra un inverno e il successivo, quello che stiamo sperimentando negli ultimi decenni è qualcosa che non si era mai riscontrato da prima della scoperta delle Americhe. In pratica, nell’ultimo secolo la durata del manto nevoso si è accorciata di oltre un mese».

Neve, declino senza precedenti negli ultimi sei secoli

I ricercatori sono giunti a questo risultato a partire dallo studio dell’accrescimento di una pianta, il ginepro.

«Abbiamo scoperto che un arbusto estremamente diffuso, il ginepro comune, quando si trova in alta quota ha un portamento strisciante sul terreno, ovvero cresce orizzontalmente molto vicino al suolo, ed è in grado di registrare nei suoi anelli di accrescimento la durata della copertura nevosa – dice il prof Marco Carrer, ecologo forestale dell’Università di Padova e primo autore dello studio – Infatti, essendo alto poche decine di centimetri, la sua stagione di crescita dipende fortemente da quanto precocemente riesce ad emergere dalla coltre bianca che lo ricopre.»

«Incrociando le misure degli anelli di accrescimento del ginepro, che può raggiungere età considerevoli (oltre 400 anni), con un modello di permanenza del manto nevoso elaborato ad hoc, siamo riusciti a ricostruire le condizioni di innevamento negli ultimi sei secoli. Ciò ci ha permesso di comprendere che quello che stiamo vivendo negli ultimi anni è qualcosa che non si era mai presentato precedentemente», evidenziano i ricercatori.

Negli ultimi 50 anni, le Alpi hanno registrato una riduzione del 5,6% per decennio della durata del manto nevoso. Dalle indagini fatte sul ginepro emerge dunque che «la durata dell’attuale copertura del manto nevoso è di 36 giorni più breve della media a lungo termine, un declino senza precedenti negli ultimi sei secoli».

È la prima volta, sottolinea ancora la ricerca, che si ottengono informazioni su un arco temporale così lungo per la neve, che ha un ruolo chiave per i sistemi naturali, sociali ed economici della regione alpina, che è molto sensibile al cambiamento climatico.

Neve e turismo invernale

E non solo le Alpi, se si considera l’assenza di neve che in questo inverno si è registrata sull’Appennino. La neve è anche economia della neve e turismo invernale, e da più parti si dibatte sul ricorso alla neve artificiale. Che non è la soluzione ideale per motivi diversi, economici – consuma molta acqua e molta energia – e anche perché non tiene conto della tendenza generale ad avere inverni più miti.

Per l’economia della montagna diventano cruciali le strategie di adattamento. A questa conclusione giunge ad esempio un recente paper della Banca d’Italia (Climate change and winter tourism: evidence from Italy) pubblicato a dicembre 2022, per la quale l’innevamento artificiale non appare determinante a sostenere flussi turistici significativi.

«L’innevamento artificiale ha solo un debole effetto sui flussi turistici invernali, indicando la necessità di un approccio più completo a strategie di adattamento», si legge nella ricerca.

«Le Alpi sono particolarmente sensibili ai cambiamenti climatici e il recente riscaldamento è stato di circa tre volte la media globale – si legge nello studio – I modelli climatici prevedono cambiamenti ancora maggiori nei prossimi decenni, incluso una riduzione del manto nevoso, soprattutto alle quote più basse. I nostri risultati suggeriscono che gli impatti del cambiamento climatico sul turismo invernale potrebbero essere sostanziali e particolarmente gravi per le stazioni sciistiche a bassa quota».

Mentre l’innevamento artificiale rimane ancora la strategia di adattamento dominante, i risultati dello studio – prosegue il dossier – confermano studi precedenti per i quali la neve artificiale «non sembra essere cruciale nel sostenere i flussi turistici. Inoltre, i costi di innevamento artificiale aumenteranno in modo non lineare man mano che le temperature aumentano e, se le temperature aumentano oltre una certa soglia, l’innevamento semplicemente non sarà praticabile, soprattutto alle quote più basse, le più colpite dai cambiamenti climatici».

La neve artificiale infatti non può proteggere da «tendenze sistemiche a lungo termine verso inverni più miti». In questo contesto «le strategie di adattamento basate sulla diversificazioni delle attività montane e dei ricavi sono cruciali».

Il che significa anche fare investimenti per ridurre la dipendenza dell’economia della montagna dalle condizioni delle neve, puntando ad esempio sul turismo estivo e su attività invernali quali le gare di trail, su eventi e congressi.

WWF: l’emergenza non si affronta con la neve artificiale

L’emergenza neve non si affronta con la neve artificiale: è la posizione espressa dal WWF per il quale con la crisi climatica in atto, affrontare la mancanza di neve incentivando l’innevamento artificiale aggrava il problema. Perché attinge alle riserve idriche, già scarse (e siamo in siccità) e ha un forte impatto sugli ecosistemi. È anche una risposta alla questione della neve assente sull’Appennino.

Spiega il WWF: «l’impatto del cambiamento climatico sulla montagna è un dato strutturale che già da oltre un decennio sta provocando una drastica diminuzione del manto nevoso e sta trasformando le località montane sulle Alpi, sulle pre-Alpi e sugli Appennini. Se pure ci sono state occasionalmente copiose nevicate, la tendenza è ben chiara e sta aumentando, provocando, tra l’altro, un aggravamento della scarsità d’acqua. In tale situazione, è essenziale una gestione dell’acqua trasparente, socialmente ed ecologicamente equa per soddisfare la crescente domanda».

Il WWF sottolinea che «per l’innevamento di base (circa 30 cm di neve, spesso anche di più) di una pista di 1 ettaro, occorrono almeno un milione di litri, cioè 1.000 metri cubi d’acqua, mentre gli innevamenti successivi richiedono, a seconda della situazione, un consumo d’acqua nettamente superiore, il che corrisponde approssimativamente al consumo annuo d’acqua di una città di 1,5 milioni di abitanti. L’acqua viene attinta da torrenti, fiumi, sorgenti o dalla rete dell’acqua potabile, in un periodo di estrema scarsità». Spesso vengono costruiti bacini di raccolta per alimentare gli impianti di innevamento.

Ma la neve artificiale richiede anche tanta energia. Prosegue il WWF: «Per assicurare piste innevate su tutte le Alpi si è calcolato che occorrerebbero 600 GWh di energia elettrica. Peraltro anche l’utilizzo di cannoni sparaneve risulta inutile perché le alte temperature spesso fanno sciogliere rapidamente la neve “sparata”».


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