Alimentazione, etichette, semafori. Il dibattito sollevato dalla lettera del Beuc alla Commissione europea perché porti a termine il più velocemente possibile il processo di definizione e approvazione dei nuovi profili nutrizionali ha mostrato in questi giorni quanto l’argomento “cibo e salute” sia considerato importante per le tante voci che si sono sollevate a difesa dei consumatori.

La scorsa settima, il mondo della ristorazione italiana aveva espresso un deciso “No” nei confronti della possibile introduzione delle etichette a semaforo. In una nota congiunta, Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto, CHIC, Euro-Toques Italia, la Federazione Italiana Cuochi (FIC), Jeunes Restaurateurs Italia (JRE) e Le Soste avevano ribadito che si tratta di “un sistema intuitivo ma altrettanto semplicistico nella classificazione nutrizionale che penalizza molte eccellenze italiane, nonostante non siano affatto pregiudizievoli per la salute dei consumatori”.

Abbiamo perciò voluto approfondire la posizione dei ristoratori, testimoni privilegiati di ciò che significa mangiare bene e valorizzare le eccellenze alimentari del nostro Paese, intervistando la Presidente dell’associazione Ambasciatori del Gusto, la chef Cristina Bowerman.

Tanto per cominciare, abbiamo provato a toglierci un dubbio: la vicinanza del Beuc alle multinazionali del Food&Beverage può essere considerato un vero e proprio endorsement o un semplice monito a fare presto sulla questione della definizione dei profili nutrizionali su cui la Commissione è oggettivamente in ritardo?

“Non sarei così drastica nel definirlo come un vero e proprio endorsement ma sicuramente è un sintomo di una direzione errata che si sta prendendo in generale nel campo dell’informazione, soprattutto dei consumatori. La protezione dell’informazione per i consumatori dovrebbe essere privilegiata. In questa particolare situazione, secondo me, è chiara la volontà di non voler informare i consumatori nella maniera appropriata. Il fatto che ci sia un’attenzione così ampia da parte di tante associazioni dei consumatori, non solo italiane, dà molte speranze sulla volontà di proteggere il consumatore da informazioni che sono superficiali, parziali e spesso e volentieri di protezione di alcuni prodotti delle multinazionali”.

Sembra quindi che ci sia la volontà di privilegiare altri tipi di interessi? “Tutto lo fa pensare. In una società in cui ormai ai test universitari si risponde con “A B C”, si vive di aneddoti e attenzione minimizzata a 10 secondi, il semaforo in etichetta non è che il risultato finale e anche un po’ lo sfruttamento di questa direzione presa”.

Alla luce di questa semplificazione estrema che potrebbe essere adottata, quali potrebbero essere dunque le ricadute negative per quanto riguarda la ristorazione ma anche la dieta mediterranea e le varie eccellenze alimentari del nostro Paese?

“Le conseguenze negative sono tantissime. A risentirne non sarebbero solo i prodotti italiani ma anche quelli di molti altri paesi ricchi di tradizioni culinarie che troveranno notevoli difficoltà nel diffondere la loro cultura del cibo. Inoltre, il fatto di voler ridurre tutto ad un elemento visivo, limita e impedisce lo sviluppo di una capacità critica da parte del consumatore. Leggere l’etichetta nella sua configurazione attuale, presuppone una conoscenza per lo meno degli ingredienti di un determinato prodotto. Con il semaforo invece tutto è ridotto semplicemente ad un colore: rosso, verde, giallo. C’è una volontà sistematica di voler eliminare lo sviluppo di una coscienza critica”.

Un’etichetta improntata sulla velocità e sulla semplificazione che evidentemente non dà tutti i contenuti informativi necessari.

Assolutamente no. È solo un colore associato ad un concetto di positivo e negativo ma in realtà si elimina lo spirito critico. La velocità non fa parte della dieta mediterranea che invece si muove all’insegna dello “Slow”. Il concetto di “Slow” potrebbe essere positivo non solo per il nostro life style ma anche per la nostra salute. Sapere esattamente cosa ci fa bene, in quali quantità, in che percentuale nell’arco della giornata fa parte del prendersi cura di sé stessi”.

A questo punto, la domanda è: esiste un modo per realizzare etichette che siano facilmente fruibili per il consumatore e allo stesso tempo esaurienti dal punto di vista informativo?

“Si potrebbe pensare di mettere in evidenza la particolare concentrazione di un ingrediente. Faccio un esempio. Se compro una Coca Cola e so che quella bevanda contiene un’altissima percentuale di zuccheri, si può pensare di farlo risaltare agli occhi del consumatore in modo che nella scelta degli altri prodotti che consumerà nell’arco della giornata proverà a bilanciare con altri meno carichi di quel componente. Di sicuro un bollino rosso o verde non possono determinare il ciclo nutrizionale giornaliero di nessuno di noi”.

Un altro aspetto da non sottovalutare è, secondo la Presidente Bowerman, quello legato all’educazione. “Da parte delle associazioni, fare fronte comune su questo aspetto potrebbe essere molto funzionale. Riuscire ad educare la persona a mangiare bene, in modo nutriente e naturale, è la soluzione migliore”.

 

Notizia pubblicata il 29/05/2017 ore 17.23


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