Ecomafia 2014: imprenditoria criminale da 15 miliardi di euro
Rifiuti, agroalimentare, cemento: attorno a questi tre perni (e a tanto altro) le organizzazioni criminali, in Italia, fanno affari da sempre. Non c’è crisi che riesca a scalfire questo business illegale che nel 2013 ha raggiunto la cifra di 15 miliardi di euro, per oltre 29mila infrazioni accertate, commesse da 321 clan (quelli censiti). Numeri da capogiro che ogni anno Legambiente mette a disposizione di tutti noi con il suo Rapporto Ecomafia.
I dati che emergono dal Rapporto di Legambiente preoccupano tutti, ma ogni anno ce n’è sempre qualcuno che preoccupa di più: nel 2013 sono aumentati i reati ai danni del settore agroalimentare, raddoppiati rispetto al 2012. Parliamo di 9540 reati, il 25% del totale. A seguire ci sono i reati ai danni della fauna (il 22% delle infrazioni), i rifiuti (15%) e il cemento (14%).
Aumentano del 14% i reati nel ciclo dei rifiuti, passando da 5.025 a 5.744 (aumentano anche le denunce, gli arresti e i sequestri). Il 40% dei reati avviene nelle 4 regioni a tradizionale insediamento mafioso, Campania in testa con 953 reati, il 17% del totale, seguita da Puglia, Calabria e Lombardia. Tra le provincie, prima è Napoli seguita da Roma, Reggio Calabria e Salerno.
Calano i reati nel ciclo del cemento: 5.511 nel 2013 (-12,7% rispetto al 2012) e salgono gli arresti (21). Anche in questo caso il 44,2% dei reati avviene nelle 4 regioni a tradizionale presenza mafiosa, Campania in testa, seguita da Puglia, Calabria, Lazio, Sicilia e Toscana. Napoli è la provincia più colpita.
Salgono i reati contro la fauna con infrazioni per commercio illegale di specie protette, abigeato, bracconaggio, allevamenti illegali, pesca di frodo, maltrattamenti e combattimenti clandestini: 8.504 totali, +6,6%, con l’impennata degli arresti che passano da 7 a 67, 7.894 denunce e 2.620 sequestri. La maggior parte dei reati si registrano in Sicilia con 1.344 infrazioni, seguita da Campania (1.075) e Puglia (953).
Nel complesso, il 47% dei reati ambientali è avvenuto in Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. Regioni dove si registra anche il record delle persone denunciate (4.072), degli arresti (51), e dei sequestri (1.339). La regione del centro Italia con più ecocrimini è il Lazio con 2.084 reati, 1.828 denunce, 507 sequestri e 6 arresti, mentre la prima regione del Nord è la Liguria con 1.431 reati. A livello provinciale la classifica vede in testa Napoli, seguita da Roma, Salerno, Reggio Calabria e Bari.
Buone notizie sul fronte incendi, che diminuiscono del 63%: dagli 8.304 del 2012 ai 3.042 del 2013, dimezzate le persone denunciate (da 742 a 375) con calo degli arresti e dei sequestri. Nonostante ciò, rimane alto il numero di ettari di superficie boscata percorsi dal fuoco: 1.304. Forse un deterrente è stata la creazione del catasto delle aree bruciate e il monitoraggio messo in campo da un numero crescente di amministrazioni.
Possiamo affermare quindi, anche quest’anno, che il fatturato delle ecomafie non viene neanche toccato dalla crisi. Questo succede purtroppo anche grazie alla corruzione di funzionari e dipendenti pubblici che semplicifano e rendono più “agevole” l’iter e i processi autorizzativi: senza di loro i clan coinvolti non sarebbero stati 321. E questo è il vero problema: un intreccio di responsabilità che dà vita ad una vera imprenditoria ecocriminale, che non può essere liquidata solo come “mafiosa”. Un’imprenditoria che è caratterizzata da un vivace dinamismo a fronte invece di un forte immobilismo della politica che ancora non riesce a partorire una legge a tutela dell’ambiente pienamente adeguata. Per non parlare del fatto che da gennaio del 2013 ad aprile di quest’anno sono 21 le amministrazioni comunali sciolte per condizionamento mafioso; e dal 1991 ad oggi i Comuni sciolti per mafia sono 248.
Forse, possiamo parlare di qualche piccolo passo in avanti. Il Rapporto Ecomafia, che è stato presentato oggi al Nuovo Cinema Aquila di Roma, luogo simbolo perché confiscato alla criminalità organizzata, è stato anche dedicato alla memoria di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin e del sostituto commissario di polizia Roberto Mancini, recentemente scomparso per la malattia contratta proprio a causa delle indagini sui traffici dei rifiuti condotte tra Campania e Lazio. All’appuntamento hanno preso parte anche il Procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, il Ministro della Giustizia Andrea Orlando, il Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti e il Presidente della Commissione parlamentare Antimafia Rosy Bindi.
“Venti anni fa non c’era quella consapevolezza che oggi finalmente leggo in questa relazione – ha commentato Franco Roberti – Questi delitti non sono delitti di mafia, ma sono delitti di quella che finalmente è stata definita imprenditoria criminale. Tutte le mafie trovano la loro vera forza al di fuori di loro, in quella zona grigia che le circonda e che fa affari con loro. Le mafie offrono beni e servizi illegali, ma se c’è questa offerta vuol dire che c’è una domanda. Nel settore dei rifiuti la domanda di smaltimento illegale di rifiuti tossici è sempre stata altissima e deriva dalla volontà di una serie, purtroppo enorme, di imprenditori che hanno voluto smaltire così i loro rifiuti per risparmiare sui costi o per nascondere la produzione in nero. Siamo addirittura ad un 47% di produzione in nero che determina a sua volta un ciclo di smaltimenti illegale dei rifiuti. E dobbiamo parlare anche dell’insofferenza delle imprese ai controlli ambientali – ha aggiunto il Procuratore antimafia – Io mi rendo conto che i controlli ambientali pesano, come pesano quelli sugli appalti, ma poi quando sveliamo la presenza di imprese che hanno trafficato illegalmente i rifiuti non ci dite che non l’avevamo detto prima. Dobbiamo metterci d’accordo: se i controlli vanno fatti, rallentano, ma sono garanzia di legalità”.
Il Procuratore nazionale antimafia non ha tralasciato il tema della corruzione che, come emerge dai dati della Commissione Europea in Italia vale 60 miliardi di euro ogni anno (la metà di quanto vale in tutta Europa). Strettamente intrecciata è la necessità di introdurre nel codice penale il reato ambientale. “Ricordiamoci però – ha detto Roberti – che più importante dell’inasprimento della pena è la certezza della pena. Nel nostro Paese questa certezza è ostacolata dall’istituto della prescrizione che inghiotte circa il 36% dei reati”.
Il Ministro della Giustizia Andrea Orlando ha ricordato come l’anno scorso si è discusso di questo tema in una situazione grave, dicendo che bisognava intervenire in alcune realtà in un’ottica emergenziale, e questo si è fatto con il decreto sulla Terra dei Fuochi. Decreto che contiene al suo interno alcuni filoni di lavoro che andrebbero ulteriormenti sviluppati, penso agli inasprimenti di alcuni illeciti. Ma anche all’epoca si disse che non era sufficiente l’intervento puntiforme sul singolo illecito se non si costruisce un sistema di contrasto organico, che abbia un equilibrio al suo interno. Io penso che dobbiamo guardare al testo del decreto che è uscito dalla Camera che, con tutti i suoi limiti, ha una sua organicità per la prima volta: distingue tra violazioni meramente formali da quelle di carattere sostanziale, riconosce la gravità e la perduranza di alcuni tipi di comportamento e gli effetti che si vengono a determinare sull’ambiente e sulla salute. Tutto è perfettibile – ha aggiunto Orlando – ma in un Paese che per tantissimo tempo è stato senza un sistema di repressione penale su questo fronte io auspico un’approvazione rapida di questo decreto. Proverei a portare a casa questo risultato perché credo sia il caso in cui l’ottimo è nemico del bene.
Il Ministro Orlando ha poi fatto un cenno al semestre europeo: “Nel prossimo semestre ci giochiamo una partita importante che è quella di costruire un vero spazio di giustizia europeo che può diventare un importante strumento anche per combattere questo tipo di criminalità organizzata. Penso che una Procura europea possa produrre un salto di qualità significativo”.
di Antonella Giordano (@Anto_Gior)
E allora forza: spariamo al bersaglio grosso con analisi sistematica e determinazione: Personale da dedicare ce n’è in abbondanza , entro centinaia di enti inutili, di uffici pubblici stracolmi, di società controllate da stato, regioni , provincie e comuni (vedi esempio Alitalia = 10% in più) e adesso non ci dovrebbero essere problemi con la mobilità del pubblico impiego.
Però chi sbaglia colpevolmente o si fa corrompere, via senza pietà e senza stipendio e pensione !!!