L’onda d’urto scatenata dal caso “Datagate” è stata potentissima. Ora, dopo il terremoto internazionale che ha fatto tremare il trono del re dei social network, Marck Zuckerberg, e le seggiole di milioni di utenti Facebook, la polvere delle macerie si sta lentamente abbassando e, sebbene non si possa individuare un sopravvissuto uscito totalmente indenne, sicuramente abbiamo una vittima illustre: Cambridge Analytica.

Il pasticcio sui dati personali degli utenti, diffusi a soggetti terzi per finalità diverse da quelle indicate nell’informativa sulla privacy che ha coinvolto Facebook e Cambridge Analytica, ha provocato una vera emorragia di clienti per quest’ultima che si ritrova nel contempo a dover far fronte a costose spese legali per le indagini necessarie a chiarire l’accaduto.

Risultato a sorpresa è stato l’annuncio diffuso ieri in serata: Cambridge Analytica ha avviato le procedure di insolvenza in Gran Bretagna e ha annunciato lo stop immediato di tutte le sue attività. Tradotto in un linguaggio più immediato, la società sta chiudendo i battenti.

Negli ultimi mesi”, si legge nella nota sul sito di Cambridge Analytica, “siamo stati oggetto di numerose accuse infondate e, nonostante i nostri sforzi di rettifica, siamo stati denigrati per attività che non solo sono legali ma sono anche ampiamente accettate come componente standard della pubblicità online sia nell’arena politica sia in quella commerciale”.

La situazione della società è stata ulteriormente aggravata da un video diffuso dalla tv inglese Channel 4 che ritraeva il suo amministratore delegato, Alexander Nix, ora sollevato dall’incarico, descrivere le tattiche utilizzate durante l’ultima campagna elettorale americana per far vincere i clienti della società, tra cui figura il presedente Donald Trump.

Uno scandalo troppo grande, difficile da sostenere sia a livello economico, sia a livello di reputazione. E così tutti a fare gli scatoloni, managers e dipendenti, e da domani uffici chiusi. Quelli di Cambridge Analytica, ovviamente. Perché Menlo Park, in California, dove ha sede Facebook, tutto scorre come sempre, ognuno al suo posto, facendo finta di “aggiustare le cose” in modo da rispettare i nuovi regolamenti sulla privacy e “tutelare gli utenti”.

@ELeoparco


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