Clima, Cop24: il libro delle regole c’è, l’ambizione no
Il “libro delle regole” è arrivato. Giusto in tempo per scongiurare il rischio di fallimento che ventilava sulla conferenza. Ma si tratta di un Rulebook ancora poco ambizioso, che rimanda almeno al prossimo appuntamento internazionale la regolamentazione dei meccanismi di mercato. La Conferenza Onu sul clima, la Cop24, si chiusa nei giorni scorsi in Polonia ma dagli ambientalisti arriva la constatazione che bisognava fare di più. Per Greenpeace la Cop24 lascia l’amaro in bocca perché si è chiusa “senza nessun chiaro impegno di miglioramento delle azioni climatiche da intraprendere”.
La conferenza sul clima si è chiusa in Polonia sabato con un regolamento, il Rulebook o libro delle regole, per rendere operativo l’accordo di Parigi, che indicava l’obiettivo di contenere l’aumento medio della temperatura entro i 2 gradi, meglio ancora 1,5 rispetto ai livello preindustriali. Secondo l’Onu si tratta di “un robusto insieme di linee guida per l’importante Accordo di Parigi del 2015, mirato a mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2° C rispetto ai livelli preindustriali”.
Nel pacchetto di Katowice, spiega l’Onu, c’è un quadro di trasparenza dettagliato volto a promuovere la fiducia tra le nazioni sul fatto che tutti stanno facendo la loro parte nell’affrontare i cambiamenti climatici. L’accordo trovato stabilisce in che modo i paesi forniranno informazioni sui loro piani d’azione nazionali, compresa la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, nonché misure di mitigazione e adattamento. È stato poi raggiunto, prosegue l’Onu, un accordo su come contabilizzare in modo uniforme le emissioni di gas serra. Se i Paesi più poveri ritengono di non poter rispettare gli standard stabiliti, possono spiegare perché e presentare un piano per rafforzare le loro capacità in tal senso.
Altra questione “spinosa” è quella del finanziamento per le politiche climatiche dei paesi in via di sviluppo da parte dei paesi più sviluppati. L’impegno attuale è quello di mobilitare 100 miliardi di dollari l’anno a partire dal 2020 e poi decidere obiettivi più ambiziosi dal 2025. Le nazioni, spiega ancora l’Onu, si sono messe d’accordo su come valutare l’efficacia dell’azione per il clima nel 2023 e su come monitorare e segnalare i progressi nello sviluppo e nel trasferimento di tecnologia.
Un elemento chiave però è rimasto senza intesa. Non è stato trovato consenso sul cosiddetto “articolo 6”, quello relativo ai “meccanismi di mercato” che consentono ai paesi di soddisfare una parte dei loro obiettivi di mitigazione nazionali. Rientra in questo ambito lo “scambio di emissioni di carbonio“, che consente ai paesi di scambiare le loro quote di emissioni. “L’accordo di Parigi – ricorda l’Onu – riconosce la necessità di regole globali in materia per salvaguardare l’integrità degli sforzi di tutti i paesi e garantire che ogni tonnellata di emissioni rilasciate nell’atmosfera venga contabilizzata”. La questione tornerà sul tavolo alla Cop25 del 2019, che si svolgerà in Cile.
Sulla conferenza è certamente pesato l’impegno del segretario generale Onu, che per tre volte si è recato in Polonia per impedire che i negoziati fallissero anche a causa dell’ostilità di una serie di paesi, fra i quali Usa, Russia, Arabia Saudita e anche Brasile. Alla fine della Cop24 è emersa poi la “Coalizione degli ambiziosi”, 40 paesi fra cui l’Ue e l’Italia che accolgono l’appello a non superare la soglia di 1,5 gradi e si impegnano a migliorare i piani climatici nazionali prima del 2020. Nella coalizione ci sono le Isole Marshall, Fiji, Etiopia, Unione Europea (inclusa l’Italia), Norvegia, Regno Unito, Canada, Germania, Nuova Zelanda, Messico e Colombia. Il prossimo appuntamento sarà il summit sul clima convocato dall’Onu per settembre 2019 a New York.
Ma va tutto bene? Da più parti c’è delusione per l’esito inferiore alle aspettative e soprattutto alle esigenze del Pianeta. Se gli esperti dicono che ci sono solo 12 anni per salvare il clima del Pianeta, la Cop 24 – dice Greenpeace – si è chiusa “senza nessun chiaro impegno di miglioramento delle azioni climatiche da intraprendere”. Secondo Greenpeace, infatti, dal summit “emergono solo progressi procedurali. Mentre è stato approvato un regolamento relativo agli Accordi di Parigi, non è stato raggiunto un chiaro impegno collettivo per migliorare gli obiettivi di azione sul clima – Nationally Determined Contributions (NDC) – nonostante le aspettative che si avevano su questo appuntamento. Un anno di disastri climatici e il terribile monito lanciato dai migliori scienziati climatici avrebbero dovuto condurre a risultati molto più incisivi, invece i governi hanno deluso i cittadini e ignorato la scienza e la situazione dei più vulnerabili. Riconoscere l’urgenza di dover aumentare le ambizioni, e adottare una serie di regole per l’azione per il clima, non è neanche lontanamente sufficiente quando intere nazioni rischiano di sparire”.
Per il WWF, che accoglie con favore il Libro delle regole, “ancora non siamo al livello di accelerazione dell’azione necessario per affrontare l’emergenza climatica”. Sostiene Manuel Pulgar-Vidal, leader internazionale Clima ed Energia del WWF: “I leader mondiali sono arrivati a Katowice con il compito di rispondere agli ultimi rapporti della scienza sul clima, da cui è emerso che abbiamo solo 12 anni per dimezzare le emissioni di CO2 e prevenire un riscaldamento globale catastrofico. Sono stati compiuti importanti progressi, ma ciò a cui abbiamo assistito in Polonia rivela una fondamentale mancanza di comprensione della nostra attuale crisi climatica da parte di alcuni Paesi. Per fortuna, l’Accordo di Parigi è disegnato per essere resiliente alle contingenze e tempeste geopolitiche. Abbiamo bisogno che tutti i paesi si impegnino a innalzare i propri obiettivi di riduzione delle emissioni entro il 2020, perché è in pericolo il futuro di tutti”. Sono arrivate al traguardo, spiega ancora il WWF, molte regole per gestire la trasparenza e la contabilità sui progressi climatici dei paesi, offrendo una certa flessibilità ai paesi in via di sviluppo. La conferenza si conclude, però, con “poca chiarezza su come si debba contabilizzare il finanziamento sul clima fornito dai paesi industrializzati a quelli in via di sviluppo, su come si raggiungerà l’obiettivo dei 100 miliardi entro il 2020 o su come sarà concordato l’obiettivo finanziario globale dopo il 2025”.
Legambiente a sua volta parla di “risposta inadeguata dei governi all’urgenza della crisi climatica” e chiede un maggior protagonismo dell’Italia e dell’Europa. “La Conferenza sul Clima di Katowice – dice Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – si è conclusa senza una chiara e forte risposta dei governi all’urgenza della crisi climatica, evidenziata dal recente rapporto dell’IPCC. La COP24 non è infatti riuscita a concordare un chiaro impegno di tutti i paesi a rafforzare entro il 2020 gli attuali obiettivi di riduzione delle emissioni in linea con la soglia critica di 1.5°C, ad adottare un efficace quadro normativo, il cosiddetto Rulebook, in grado di dare piena attuazione all’Accordo di Parigi e a garantire un adeguato sostegno finanziario ai paesi in via di sviluppo che devono far fronte a devastanti impatti climatici. Risultato debole e in forte contrasto non solo con il grido di allarme lanciato dall’IPCC, ma anche con la crescente mobilitazione dei cittadini, soprattutto giovani, che in ogni angolo del pianeta chiedono una forte azione globale in grado di fronteggiare la crisi climatica che stiamo vivendo”.