Censis: l’Italia non investe sul futuro. I giovani stanno peggio dei nonni
L’Italia non investe sul futuro. I figli sono più poveri dei nonni e intrappolati in una marea di lavoretti. Si continua a tagliare i consumi ma non si risparmia sugli smartphone. C’è una nuova era del sommerso basato sulla gestione del denaro contante e delle rendite, mentre si conta solo un grande distacco fra politica e popolo. Ogni anno si guarda al Censis per interpretare la situazione sociale del Paese. E come ogni anno dal Censis arrivano dati, tanti dati, e titoli che in una riga danno un quadro dell’Italia contemporanea. Non sono affatto rose e fiori – e questo era ampiamente prevedibile e previsto.
Questa è “l’Italia rentier che non investe sul futuro”, dice oggi il Censis, che parla anche di “una società che continua a funzionare nel quotidiano, rumina gli input esterni e cicatrizza le sue ferite”. “L’immobilità sociale genera insicurezza, che spiega l’incremento dei flussi di cash”: dall’inizio della crisi economia sono stati accantonati 114 miliardi di euro di liquidità aggiuntiva, più del Pil dell’Ungheria.
Le aspettative generali degli italiani sono negative o piatte: il 61,4% è convinto che il proprio reddito non aumenterà nei prossimi anni, il 57% ritiene che i figli e i nipoti non vivranno meglio di loro (e lo pensa anche il 60,2% dei benestanti). Il 63,7% crede che, dopo anni di consumi contratti e accumulo di nuovo risparmio cautelativo, l’esito inevitabile sarà una riduzione del tenore di vita. La liquidità totale di cui gli italiani dispongono in contanti o depositi non vincolati “è pari al valore di una economia che si collocherebbe al quinto posto nella graduatoria del Pil dei Paesi Ue post-Brexit, dopo la Germania, la Francia, la stessa Italia e la Spagna – spiega il Censis – Quasi il 36% degli italiani tiene regolarmente contante in casa per le emergenze o per sentirsi più sicuro e, se potessero disporre di risorse aggiuntive, il 34,2% degli italiani le terrebbe ferme sui conti correnti o nelle cassette di sicurezza”. Ecco dunque il quadro generale che fa il Censis: è un’Italia basata sulle rendite, che si limita a usare le risorse di cui dispone senza proiettarsi nel futuro, “con il rischio di svendere pezzo a pezzo l’argenteria di famiglia”.
Una famiglia in cui i figli sono più poveri dei nonni: sono i più giovani a essere economicamente ko. Rispetto alla media della popolazione, oggi le famiglie dei giovani con meno di 35 anni hanno un reddito più basso del 15,1% e una ricchezza inferiore del 41,1%. Nel confronto con venticinque anni fa, i giovani di oggi hanno un reddito del 26,5% più basso di quello dei loro coetanei di allora, mentre per gli over 65 anni è aumentato del 24,3%. La ricchezza degli attuali millennial è inferiore del 4,3% rispetto a quella dei loro coetanei del 1991, mentre per gli italiani nell’insieme il valore attuale è maggiore del 32,3% rispetto ad allora e per gli anziani è maggiore addirittura dell’84,7%.
I consumi sono stati tagliati durante tutto il periodo della crisi, ma non quelli della comunicazione digitale: fra il 2007 e il 2015 c’è stato un boom della spesa per comprare computer (+41,4%) e smartphone (+191,6%). Nel 2016 l’utenza del web in Italia è arrivata al 73,7% (nel caso dei giovani under 30 il dato sale al 95,9%), oggi il 64,8% degli italiani usa uno smartphone (l’89,4% nel caso dei giovani), per comunicare il 61,3% utilizza Whatsapp (lo fa l’89,4% dei giovani), il 56,2% ha un account su Facebook e il 46,8% guarda Youtube (rispettivamente, l’89,3% e il 73,9% dei 14-29enni), il 24% utilizza la piattaforma Amazon (contro il 38,7%), l’11,2% Twitter (contro il 24%). E per la prima volta nel 2015 il numero di sim abilitate alla navigazione in rete (50,2 milioni) ha superato quello delle sim utilizzate esclusivamente per i servizi voce (42,3 milioni).
Oltre ai numeri, il Censis cerca di restituire l’immagine generale del paese. Che sembra immerso sempre più nel sommerso post terziario: un “sommerso di redditi” – dice il Censis – che “prolifera nella gestione del risparmio cash («per non andare in banca»), nelle strategie di valorizzazione del patrimonio immobiliare (casolari rurali, appartamenti urbani, attici panoramici trasformati in case per vacanza, bed and breakfast o location per eventi), nel settore dei servizi alla persona (dalle badanti alle babysitter, alle lezioni private), nei servizi di «mobilità condivisa» e di recapito, e altro ancora. E proliferano così figure lavorative labili e provvisorie, soprattutto tra i giovani che vivono nella frontiera paludosa tra formazione e lavoro”.
In tutto questo non poteva mancare lo sguardo alle istituzioni. Ed è chiaro, ormai da tempo, che il legame e la fiducia si sono rotti: c’è distacco fra popolo e potere politico, le istituzioni sono in crisi e non fanno più da cerniera. Il Censis lo spiega con queste parole: “Il corpo sociale si sente rancorosamente vittima di un sistema di casta. Il mondo politico si arrocca sulla necessità di un rilancio dell’etica e della moralità pubblica (passando dal contrasto alla corruzione dei pubblici uffici all’imposizione di valori di onestà e trasparenza delle decisioni). Le istituzioni (per crisi della propria consistenza, anche valoriale) non riescono più a «fare cerniera» tra dinamica politica e dinamica sociale, di conseguenza vanno verso un progressivo rinserramento. Delle tre componenti di una società moderna (corpo sociale, istituzioni, potere politico) sono proprio le istituzioni a essere oggi più profondamente in crisi”.