È sabato: la settimana più lunga e dura per Mark Zuckerberg si è finalmente conclusa. Ha chiesto scusa a destra e sinistra, almeno sei volte in tutto; si è presentato al Senato e alla Camera; ha risposto a domande; ha dovuto improvvisare soluzioni a cui non aveva mai neppure lontanamente pensato; ha prestato il fianco agli attacchi degli attivisti e alla curiosità dei giornalisti di mezzo (forse tutto) il mondo e alla fine è riuscito a cadere quasi in piedi.

Lo scandalo Datagate può sicuramente essere considerato tra quelli che, per dimensione e portata delle conseguenze, hanno scosso maggiormente l’opinione pubblica, specie quella che nasce, cresce e si diffonde proprio a partire dalle piattaforme “socialmediatiche”. Ad essere minacciata è l’identità di ogni utente della rete, in generale, e nello specifico, di ogni persona connessa ad altri milioni di individui tramite Facebook. Non una “roba” da poco, insomma.

C’è da dire che il 2018 per Facebook si è tinto fin da subito con toni opachi portandosi dietro gli strascichi piuttosto pesanti di un 2017 chiuso nell’ombra del Russiagate che aveva fatto cadere una pioggia di pesanti accuse su Zuckerberg &Co per le presunte (e poi confermate) interferenze russe nella campagna elettorale americana. All’epoca dei fatti Mr Facebook in persona decise di collaborare, fornendo al governo americano il contenuto di oltre 3mila annunci politici diffusi su Facebook che sarebbero stati creati e finanziati da società russe per orientare il risultato elettorale.

Dal Russiagate al Datagate che vede coinvolto Facebook e Cambrige Analytica il passo è stato davvero breve, solo che in questo caso la posta in gioco è molto più alta. L’accertata vendita illegale di profili degli utenti per scopi politici potrebbe avere il “potenziale distruttivo di un meteorite in caduta libera sui colossi dell’era digitale” (Sole 24ore): se le accuse di abuso e negligenza nella gestione dei Big Data saranno infatti provate, il rischio non è certamente quello delle multe, ma di un’estinzione prematura della prima grande generazione delle conglomerate del web.

Vediamo dunque di ricostruire cosa è avvenuto in America e, di conseguenza, come si è posizionata l’Europa e l’Italia rispetto alla questione che da fine marzo fino a quest’ultima settimana di fuoco ha visto protagonista la società di Menlo Park.

La preoccupazione per la profilazione a fini politico-elettorali e senza consenso degli utenti Facebook ha attraversato Autorità europee e italiane. Il Garante europeo per la Privacy Buttarelli ha detto di ritenere che le rivelazioni emerse siano sono la “punta dell’iceberg” di una questione molto più ampia che riguarda la privacy dei dati. “Questo è probabilmente il grande scandalo dell’anno e io faccio appello alle autorità nazionali di regolamentazione e ad altre come le organizzazioni dei consumatori per lavorare insieme e garantire di arrivare al fondo di questa questione”.

Sul tema si è quindi espresso anche il presidente del Garante privacy italiano Antonello Soro, che ha sottolineato i rischi per la democrazia e per la libertà di scelta che derivano dalla concentrazione del potere e dall’uso dei dati fatto dalle piattaforme online e da pochi big digitali. 

Dopo l’indagine aperta dal Garante per la protezione dei dati personali si è mossa anche l’Antitrust. L’Agcm ha infatti annunciato l’apertura di una istruttoria su Facebook “per presunte pratiche commerciali scorrette”. Il social network “avrebbe, in primo luogo, adottato un’informativa priva di immediatezza, chiarezza e completezza, in fase di registrazione alla piattaforma Facebook, con riferimento alle modalità di raccolta e utilizzo dei dati dei propri utenti a fini commerciali, incluse le informazioni generate dall’uso da parte dell’utente Facebook di app di società appartenenti al gruppo e dall’accesso a siti web/app di terzi”, scrive il Garante della Concorrenza e del Mercato. E continua: “Facebook avrebbe costretto i propri utenti registrati ad accettare, in via generale e preventiva, il trasferimento e l’uso dei propri dati da/a terzi operatori per tutte le volte che l’utente accederà o utilizzerà siti web e app di terzi”.

 

Da questo momento in poi, è stata la volta delle associazioni dei consumatori che sono scese in campo a difesa degli utenti del social network, con l’Unione Nazionale Consumatori che sottolineava l’importanza di accertare la violazione del Codice del Consumo riguardo al diritto di prestare o negare il consenso all’accesso ai dati personali da parte di soggetti terzi diversi da Facebook, e il Codacons in prima fila nel lancio della class action per il risarcimento dei 214.000 utenti italiani coinvolti nel datagate.

Altroconsumo intanto sondava il terreno in Europa, incontrando, insieme alle organizzazioni di consumatori di Belgio, Spagna, Italia, Portogallo e Brasile, i vertici di Facebook a Bruxelles ai quali era stata inviata una formale diffida per conoscere il grado di coinvolgimento dei cittadini italiani, belgi, spagnoli, portoghesi e brasiliani. Le Organizzazioni hanno chiesto quali misure implementerà il social network per eliminare conseguenze e rischi per gli utenti e per assicurarsi che siano garantiti il rispetto dei diritti dei consumatori e la loro corretta applicazione. La richiesta finale: sapere come Facebook rimborserà i consumatori sia per l’uso improprio fatto con i dati, sia per il valore economico derivante dallo sfruttamento di essi, di proprietà dei singoli utenti.

L’Europa esige cooperazione da parte di Facebook sulla vicenda. Lo ha chiesto con forza ieri la commissaria Ue alla giustizia, Vera Jourova, alla n.2 di Facebook, Sheryl Sandberg, durante una telefonata, alla luce delle difficoltà riscontrate dal garante britannico Ico nell’ottenere le informazioni richieste sullo scandalo Cambridge Analytica di cui sono vittime cittadini europei.

E intanto Zuckerberg chiedeva scusa a più riprese: “Vorrei poter risolvere tutti questi problemi in tre mesi o sei mesi, ma penso che la realtà sia che la risposta ad alcune di queste domande richiederà un periodo più lungo”, diceva a Vox. E poi ancora “Mi dispiace. È stato chiaramente un errore”, si rammaricava davanti ai senatori delle Commissioni Giustizia e Commercio per essersi fidato sulla parola di Cambrige Analytica, la società che aveva promesso di non usare i dati degli iscritti al social network più popolare del mondo per finalità improprie; “Ho sbagliato, diventeremo i poliziotti del web”, ha ripetuto ai deputati della Camera.

In tutto questo, il titolo della società di sua proprietà ha fatto le montagne russe a Wall Street, prima crollando a picco nei giorni in cui Zuckerberg era nell’occhio del ciclone per poi recuperare quota dopo il “mea culpa”. Come dire, finché girerà denaro a sufficienza la giostra continuerà a far divertire.


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