Dall’Europa arriva una nuova pronuncia a tutela della privacy. Secondo l’avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Unione europea, la direttiva sulla conservazione dei dati generati o trattati nell’ambito della fornitura di servizi di comunicazione elettronica è incompatibile con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, per la quale qualsiasi limitazione dell’esercizio di un diritto fondamentale deve essere prevista dalla legge.
Secondo l’avvocato generale Pedro Cruz Villalón “la direttiva costituisce un’ingerenza grave nel diritto fondamentale dei cittadini al rispetto della vita privata, istituendo un obbligo per i fornitori di servizi di comunicazioni telefoniche o elettroniche di raccogliere e conservare i dati sul traffico e sull’ubicazione di tali comunicazioni”. Per l’avvocato generale, l’uso di tali dati consente infatti una mappatura esaustiva di una parte dei comportamenti delle persone che rientrano nella loro vita privata e addirittura un ritratto completo della loro identità privata. “Esiste, peraltro, un rischio elevato che i dati conservati siano utilizzati a fini illeciti, potenzialmente lesivi della vita privata, oppure, più in generale, fraudolenti o malevoli. Tali dati non sono conservati infatti dalle pubbliche autorità, né sotto il controllo diretto di queste, ma dai fornitori stessi dei servizi di comunicazione elettronica – rileva l’avvocato – Inoltre, la direttiva non prevede che i dati debbano essere conservati nel territorio di uno Stato membro. Essi possono di conseguenza essere accumulati in luoghi imprecisati del ciberspazio”. La direttiva, spiega l’avvocato, avrebbe dovuto stabilire i principi fondamentali che dovevano regolare la definizione delle garanzie minime per l’accesso ai dati raccolti e conservati e per il loro utilizzo.
La direttiva rimanda agli Stati il compito di stabilire queste garanzie e così facendo, prosegue l’avvocato, “non rispetta l’obbligo, previsto dalla Carta, secondo cui qualsiasi limitazione dell’esercizio di un diritto fondamentale deve essere prevista dalla legge. Tale requisito va infatti oltre un criterio puramente formale. Il legislatore dell’Unione, infatti, nell’adottare un atto che, come nel caso della direttiva sulla conservazione dei dati, impone obblighi che costituiscono gravi ingerenze nei diritti fondamentali dei cittadini dell’Unione, deve assumersi la propria parte di responsabilità stabilendo quantomeno i principi che devono presiedere alla definizione, alla fissazione, all’applicazione e al controllo del rispetto di tali garanzie. È proprio tale inquadramento che permette di valutare la portata che comporta in concreto tale ingerenza nel diritto fondamentale e che può pertanto rendere quest’ultima tollerabile o meno dal punto di vista costituzionale”.
Altro tema toccato dalla pronuncia dell’avvocato riguarda l’incompatibilità della direttiva col principio di proporzionalità, perché questa impone agli Stati di garantire che i dati siano conservati per un periodo della durata massima di due anni: nonostante sia legittima la finalità della direttiva – quella di garantire la disponibilità dei dati raccolti per perseguire reati gravi – non viene riscontrata giustificazione sufficiente perché il periodo di conservazione dei dati non possa rimanere entro un limite inferiore a un anno.
Detto questo, l’avvocato propone tuttavia di dare tempo al legislatore dell’Unione di adottare i provvedimenti necessari per le dovute correzioni. Per quanto riguarda gli effetti nel tempo dell’invalidità constatata, infatti, “l’avvocato generale propone, dopo aver ponderato i diversi interessi presenti nella specie, di sospendere gli effetti della constatazione dell’invalidità della direttiva per dar tempo al legislatore dell’Unione di adottare le misure necessarie per porre rimedio all’invalidità accertata, restando inteso che tali misure devono essere adottate entro un lasso di tempo ragionevole”.


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