Airbnb, Corte Ue: Italia può chiedere ritenute sugli affitti brevi (fonte immagine Pixabay)

Airbnb, Corte Ue: Italia può chiedere ritenute sugli affitti brevi

L’Italia può chiedere ad Airbnb la ritenuta d’imposta sugli affitti brevi. La Corte di giustizia della Ue ha stabilito che “il diritto dell’Unione non osta né all’obbligo di raccogliere informazioni né alla ritenuta d’imposta previsti da un regime fiscale nazionale. L’obbligo di designare un rappresentante fiscale costituisce tuttavia una restrizione sproporzionata alla libera prestazione dei servizi”

L’Italia può chiedere ad Airbnb la ritenuta d’imposta sugli affitti brevi. La Corte di giustizia della Ue si è pronunciata sulle locazioni immobiliari brevi e ha stabilito che “il diritto dell’Unione non osta né all’obbligo di raccogliere informazioni né alla ritenuta d’imposta previsti da un regime fiscale nazionale. L’obbligo di designare un rappresentante fiscale costituisce tuttavia una restrizione sproporzionata alla libera prestazione dei servizi”. Airbnb deve pagare la cedolare secca introdotta dal regime fiscale in Italia.

La Corte ha dato quindi parzialmente torto ad Airbnb nel ricorso sul regime fiscale italiano per gli affitti brevi introdotto nel 2017 e ha ritenuto che la legge può chiedere di raccogliere informazioni e dati sulle locazioni effettuate, e soprattutto di applicare la ritenuta d’imposta alla fonte prevista dal regime fiscale nazionale. Il giudice ha dato invece ragione ad Airbnb sulla parte relativa all’obbligo di designare un rappresentante fiscale introdotto dalla stessa legge n.96 del 21 giugno 2017, giudicato “una restrizione sproporzionata alla libera prestazione dei servizi”.

Airbnb e il regime fiscale italiano sugli affitti brevi

Il caso è quello di Airbnb, il gruppo multinazionale che gestisce l’omonimo portale di intermediazione immobiliare su Internet e mette in contatto locatori con alloggi e persone che cercano un affitto breve.

La legge italiana del 2017 stabilisce un nuovo regime fiscale delle locazioni immobiliari brevi al di fuori di un’attività commerciale. Si applica ai contratti di affitto di immobili a uso abitativo da parte di persone fisiche che agiscono al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, di durata non superiore a 30 giorni, indipendentemente dal fatto che questi contratti siano stipulati direttamente con i locatori o grazie all’intervento di soggetti che esercitano l’attività di intermediazione immobiliare con portali, come Airbnb.

Dal 1° giugno 2017 i redditi derivanti da questi contratti sono soggetti a una ritenuta del 21%, dovuta all’Erario, qualora i proprietari interessati abbiano optato per tale aliquota preferenziale, e i dati relativi ai contratti di locazione devono essere trasmessi all’amministrazione fiscale. Quando incassano i canoni o svolgono un ruolo nella loro riscossione, i soggetti che fanno intermediazione immobiliare devono effettuare, in qualità di sostituti d’imposta, la ritenuta sull’ammontare dei canoni e provvedere al relativo versamento all’Erario. I soggetti non residenti privi di una stabile organizzazione in Italia hanno l’obbligo di nominare, in qualità di responsabili d’imposta, un rappresentante fiscale.

Davanti alla legge italiana, Airbnb Ireland UC e Airbnb Payments UK Ltd, della multinazionale Airbnb, hanno proposto un ricorso diretto all’annullamento del provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate che dava attuazione al nuovo regime fiscale.

Airbnb, la valutazione della Corte

La Corte di giustizia della Ue ha esaminato gli obblighi fiscali introdotti dall’Italia alla luce del divieto di restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione. Prima di tutto, rileva la Corte, l’obbligo di raccolta e comunicazione alle autorità fiscali dei dati dei contratti stipulati con intermediazione immobiliare «è imposto a tutti i terzi, indipendentemente dal fatto che si tratti di persone fisiche o giuridiche, sia che queste ultime risiedano o siano stabilite in detto territorio o meno e sia che intervengano tramite strumenti digitali o con altre modalità di contatto». Per la Corte dunque «un obbligo del genere non contrasta con il divieto di cui all’articolo 56 TFUE, essendo opponibile a tutti gli operatori che esercitano determinate attività sul territorio nazionale».

La Corte evidenzia poi che «l’obbligo di ritenuta dell’imposta alla fonte s’impone, anch’esso, tanto ai prestatori di servizi di intermediazione immobiliare stabiliti in uno Stato membro diverso dall’Italia, quanto alle imprese italiane. Non si può dunque ritenere che l’obbligo vieti, ostacoli o renda meno attraente l’esercizio della libera prestazione dei servizi».

Diversa la valutazione sull’ultimo punto. Per la Corte infatti «l’obbligo di designare un rappresentante fiscale in Italia grava, invece, unicamente su taluni prestatori di servizi di intermediazione immobiliare privi di stabile organizzazione in Italia» e dunque rappresenta una restrizione sproporzionata alla libera prestazione dei servizi.

Federalberghi: sentenza importante che promuove trasparenza

Una sentenza importante, commenta Federalberghi, per la quale “si stringe il cerchio attorno ai grandi portali”. Airbnb deve insomma riscuotere e versare allo Stato italiano la cedolare secca sugli affitti brevi.

«La sentenza odierna segna un punto importante – afferma il presidente degli albergatori Bernabò Bocca – ma resta del percorso da compiere. I prossimi passi toccano al Consiglio di Stato, che dovrà pronunciarsi recependo la sentenza europea, per consentire poi all’Agenzia delle Entrate di recuperare le imposte non pagate durante sei anni di sfacciata inadempienza, applicando le relative sanzioni. In parallelo – prosegue Bocca – chiediamo al Governo e al Parlamento di mettere ordine nella giungla degli appartamenti ad uso turistico, che si nascondono dietro la foglia di fico della locazione, ma in realtà operano a tutti gli effetti come strutture ricettive e quindi devono essere soggetti alle medesime regole di base previste per alberghi, affittacamere e bed and breakfast».

Secondo dati elaborati da Federalberghi, ad agosto 2022 gli annunci relativi ad alloggi italiani pubblicati su Airbnb erano oltre 440 mila. Ma quasi due terzi degli annunci (il 64,9%) erano pubblicati da persone che amministrano più alloggi e più della metà degli annunci (il 57,8%) si riferiva ad alloggi disponibili per oltre sei mesi l’anno. Le locazioni brevi, prosegue Federalberghi, si concentrano soprattutto nelle grandi città e nelle principali località turistiche dove è anche maggiore la presenza di esercizi ufficiali. Ad esempio il comune con più alloggi disponibili su Airbnb è Roma, con 23.899 annunci, seguito da Milano (18.416), Firenze (10.576), Venezia (7.677), Napoli (7.313) e Palermo (5.561).

Airbnb: illegittimo imporre un rappresentante fiscale in Italia

La Corte di Giustizia europea ha anche chiarito che l’obbligo di designare un rappresentante fiscale costituisce “una restrizione sproporzionata alla libera prestazione dei servizi”. Il tema era stato rimesso all’attenzione della Corte dal Consiglio di Stato, a cui ora spetterà la decisione finale.

Commenta da parte sua Airbnb: «Airbnb ha sempre inteso prestare massima collaborazione in materia fiscale e supporta il corretto pagamento delle imposte degli host applicando il quadro europeo di riferimento sulla rendicontazione, noto come DAC7. L’azienda non è dotata di un rappresentante fiscale in Italia che possa svolgere da sostituto d’imposta. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito che l’obbligo di designare un rappresentante fiscale in Italia è in contrasto con il diritto europeo. In attesa della decisione finale da parte del Consiglio di Stato, continueremo ad implementare la direttiva UE in materia».


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